Il Tribunale Amministativo Regionale per il Lazio (sezione prima)  composto da Ivo Correale (presidente ff), Roberta Cicchese (consigliere) e Lucia Maria Branchitelli ( primo referendario, estensore) definitivamente pronunciando sul ricorso presentato dallo studio legale dell’Avv. Francesco Mario  Macrì di Marina di Gioiosa, ha disposto l’estromissione dal giudizio della Presidenza della Repubblica ed ha accolto il ricorso e, per l’effetto, annullato i provvedimenti impugnati ordinando che la sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa . Nel ricorso presentato si evidenziava che lo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose costituiva una misura straordinaria di prevenzione (Corte Cost. n.103/1993) che l’ordinamento ha apprestato per rimediare a situazioni patologiche di compromissione del naturale funzionamento dell’autogoverno locale . Nel ricorso si specificava che gli elementi raccolti avrebbero dovuto essere “concreti, univoci e rilevanti come richiesto dalla “nuova formulazione” dell’art.143 comma 1 del Tuel , solo dall’esame complessivo di tali elementi, si poteva ricavare il quadro e il grado del condizionamento mafioso e/o la ragionevolezza della ricostruzione operata quale presupposto per a misura dello scioglimento degli organi politici che sia stato idoneo a beneficiare soggetti riconducibili ad ambienti controindicati (Cons.Stato, sez III, n.2895) . Veniva riscontrata esclusivamente la figura di un assessore per l’incompatibilità con la sua attività professionale in seno all’Ente e la partecipazione ad un evento in memoria di un soggetto ritenuto appartenente ad una delle cosche operanti nel territorio. Circostanze che , secondo la giurisprudenza, non appaiono rilevanti riguardando contestazioni relative allo scioglimento legittimo dell’attività professionale dell’amministratore e una situazione  di carattere episodico prova di significatività ai fini della possibile esistenza , anche solo in termini sintomatici di contatti tra l’ex amministratore e consorterie di stampo mafioso, in assenza di altri elementi. Quanto al rapporto di parentela tra uno dei consiglieri eletti e un soggetto legato a una cosa locale , negli atti a supporto dello scioglimento, non si dà carico di alcun elemento indiziario a suo carico . La seconda vicenda di scioglimento  riguardava un’attività commerciale , tra i cui dipendenti erano presenti soggetti in rapporti di parentela con elementi di spicco della malavita locale, che si svolgeva in un edificio il cui ultimo piano era stato realizzato abusivamente.In realtà consta che l’opera in oggetto era stata oggetto nel 2010 di una ordinanza di demolizione, rimasta ineseguita , e che proprio l’amministrazione comunale disciolta, dopo poco più di un anno dall’insediamento , aveva avviato le iniziative per giungere alla rimozione dell’abuso. Dunque non risulta confermato  l’assunto  secondo cui l’Ente avrebbe omesso di compiere le attività necessarie per dare concreta attuazione all’ordinanza di demolizione. Quanto alle criticità relative alle gestione dei beni confiscati , esse si incentrano sulla circostanza che un terreno sottoposto a confisca e consegnato al comune sarebbe ancora nel possesso dell’ex proprietario. Nella circostanza si omette  di considerare che il fondo in questione , non poteva essere recintato nè intercluso totalmente, servendo da passaggio obbligato per l’accesso ad altro terreno comunale. Emerge poi dagli atti che il Sindaco aveva posto in essere le attività necessarie per destinare alla locale Stazione dei Carabinieri uno dei due immobili confiscati al proprietario del fondo, non ottenendo tuttavia un riscontro alla sua richiesta  . Quanto alla vicenda relativa alla stipula di un contratto d’appalto , nel febbraio 2016, avente ad oggetto lavori di consolidamento sul lungomare, il Comune avrebbe omesso di acquisire , come richiesto dalle “lex specialis”, le informazioni antimafia nei confronti delle ditte subappaltatrici. Tra esse, sarebbero state presenti anche ditte controindicate una delle quali ha ricevuto un provvedimento interdittivo nel febbraio 2017 . Nel corso di un sopralluogo nel novembre 2016, inoltre, sarebbe stato rinvenuto un mezzo intestato a ditte già destinatarie di interdittive antimafia . Tuttavia , le evidenze acquisiste in giudizio, dimostrano che per l’appalto in questione il Comune si era servito , della Stazione Unica Appaltante. In sostanza, per i giudici del Tar, non si sono riscontrati comportamenti omissivi negligenti ascrivibili agli uffici comunali che non potevano intervenire in altro modo prima della conoscenza del provvedimento interdittivo. Peraltro nella relazione prefettizia si esprimeva un giudizio sostanzialmente positivo sulla gestione degli appalti pubblici.

Antonio Tassone – ecodellalocride.it