“I fatti del Panzera non possono rappresentare la notte fonda in cui precipita la Polizia penitenziaria e, significativamente, il Comando del Reparto di Reggio Calabria. Fuori da ogni ipocrisia di un discorso pubblico cui siamo abituati, che farebbe torto all’intelligenza del Paese e non fa onore ai trentasettemila donne e uomini che indossano con legittimo orgoglio e con la riconoscenza di tutti l’uniforme della Polizia penitenziaria, non saranno delle “mele marce” (in divisa o meno) ad oscurare il lavoro alacre, indefesso e silenzioso di chi vive la realtà carceraria reggina sulla propria pelle, senza fare sconti e nel legittimo rispetto della legge”.

Con queste parole il Segretario Generale del Si.N.A.P.Pe – Sindacato Nazionale Autonomo Polizia Penitenziaria – Roberto SANTINI ha inteso esprimere la vicinanza dell’associazione al personale in servizio negli istituti penitenziari di Reggio Calabria. “Il canovaccio pare essere liso quando leggiamo di certe accuse che hanno portato l’ex direttrice del carcere agli arresti domiciliari per concorso esterno in associazione mafiosa; fa oltremodo veramente male pensare che degli appartenenti al Corpo abbiano potuto favorire i sodalizi di n’drangheta”. Per il Sindacato Nazionale Autonomo di Polizia Penitenziaria – Si.N.A.P.Pe – dopo i recenti articoli apparsi sui quotidiani locali (ad esempio, “Carcere di Reggio: Grand Hotel per alcuni, porta dell’inferno per altri”) è un segnale decisamente positivo che la delega di questa indagine sia stata affidata dalla Direzione Distrettuale Antimafia al Nucleo Investigativo Centrale della Polizia penitenziaria. Per Fabio VIGLIANTI e Roberto MAGRO, organi statutari dell’organizzazione sindacale in Calabria, “il Corpo della Polizia Penitenziaria calabrese è un’istituzione sana, capace di individuare e isolare il male che avvelena l’Amministrazione Penitenziaria ed alcuni sciocchi servitori. È una ottima notizia la delega al N.I.C.: per il Corpo, per chi ne onora l’uniforme e per il Paese anche se la verità è triste e non la si può più ignorare”. Per SANTINI “verrà, poi il momento, al di là di ogni ragionevole dubbio, di analizzare il male endemico dell’Amministrazione Penitenziaria, la diarchia di funzioni tra il direttore penitenziario ed il dirigente del Corpo ed il riflesso pavloviano di articolazioni regionali che interagendo poco con il “Centro” (per la visione romanocentrica dell’Amministrazione) dimenticano l’azione di impulso verso ogni singola realtà penitenziaria confondendo l’autonomia gestionale del direttore penitenziario con la tolleranza sciagurata verso chi abusa dell’arbitrio”. Come se la strategia della riduzione del danno – confinare la punizione alle “poche mele marce”, aiuti a mettere in salvo l’Amministrazione sana da ciò che l’avvelena. Un monito per Bernardo Petralia.
La Segreteria Generale Si.N.A.P.Pe