«Un sopralluogo carico di emozioni sulla scena di un delitto, nelle montagne del Bosco di Stilo. Questo ha dato corpo alla mia prima vera espressione narrativa. Come se la fantasia e la scrittura, nutrite da letture forti sin dall’infanzia e dalle tante suggestioni provenienti dalle mie esperienze lavorative, avessero preso finalmente forma». Anton Francesco Milicia, esperto in perizie e sopralluoghi su scene del crimine, sorprendente penna noir in ascesa, racconta così la nascita nel 2014 del suo primo romanzo, “Contrada delle Case Vecchie”, una storia sospesa tra il thriller, il noir e l’horror, tutta ambientata nella Locride e con personaggi rigorosamente “veri”. Tra i boschi calabresi si muove il Fabbro, il killer protagonista del romanzo. Poi è arrivato “Il Doppio – Il Martello dell’Ade”, nel 2015, un’altra inquietante storia dipanata tra la Locride e la Toscana, un altro successo per Milicia, seguito da una folta schiera di lettori appassionati e premiato in vari concorsi. «Scrivevo sin da bambino, come spesso accade. Ma la scelta matura è avvenuta molto più avanti» dice, con lo sguardo acuto e il sorriso aperto.

Perché il filone noir?

Mi piace questa domanda, non è mai scontata. Il noir si è fortemente radicato nella mia anima di lettore, prima che di scrittore. Da bambino un mio caro amico viveva in una casa antica, piena di passaggi segreti e posti bui in cui nascondersi, che calamitavano gran parte dei nostri giochi. In un sotterraneo scoprimmo centinaia di vecchi Gialli Mondadori che con quelle particolari copertine mi colpirono tantissimo. Cominciai a leggerli. Mi sono così impaludato in un genere che negli anni ’60-’70 era particolarmente fiorente, con autori che si crogiolavano anche nelle atmosfere noir: Woolrich, Hadley Chase, Donald Westlake, Ed McBain, Bill Pronzini. Straordinari. Penso che il noir consenta ampia libertà espressiva e di intreccio, congeniali al mio modo di scrivere criptico-tensivo che fa largo uso dei punti di vista soggettivi. Lo prediligo anche perché riflette il mio modo di pensare, di trasgredire con la mente, di assorbire atmosfere plumbee e tradurle in storie.

Quali libri e quali autori hanno formato Milicia narratore?

Da bambino facevo “scorpacciate” di libri. Essendo un tipo introverso, i libri erano il mio rifugio, mi offrivano mondi da esplorare nei quali perdermi con la fantasia. Non dimenticherò mai la caverna labirintica di Tom e Becky in Le avventure di Tom Sawyer; l’angoscia rassegnata di Geppetto nella pancia della balena; l’ultimo cerino della piccola fiammiferaia. Come molti bambini ero attratto dall’ignoto, dal mistero, dai “mostri”. Il maestro però per me è Giorgio Faletti. Ammiro il modo in cui descrive la drammaticità dei sentimenti in caduta libera e la sua capacità di scardinare luoghi comuni e frasi fatte. Altri scrittori che amo e ai quali rubo spesso qualcosa sono: Harlan Coben, bravissimo nel creare tensione narrando la normalità, Michael Connelly, che adotta magistralmente una tecnica di elaborazione a me molto cara, lo spin-off; Ed McBain, per la sua impeccabile costruzione del police procedural arricchita da una ironia irresistibile; e poi l’immenso Lee Child, che ha creato un personaggio tridimensionale con il suo Jack Reacher, a cui mi ispiro per la costruzione delle scene di azione.

 

Qual è il noir che Lei ritiene capolavoro assoluto?

Voglio premiare l’originalità e la destabilizzazione perversa di tutti gli stereotipi e luoghi comuni del noir, e andando contro corrente dico American Psycho di Breat Easton Ellis.

Milicia, quanto è noir la locride (ndrangheta a parte)?

Credo che la Locride sia una grandissima risorsa in quanto ad ambientazioni noir, non a caso ho puntato quasi tutto proprio su questo territorio per dare vita alle mie storie. Devo dire che la vivo visceralmente in una costante ricerca di temi, di personaggi e di sfondi, e non è necessario muoversi molto. Anche quando sono per strada o al supermercato mi faccio suggestionare: osservo la gente, le compulsioni nascoste, i piccoli drammi sotto la superficie, le relazioni invisibili che legano le persone ai ruoli di vittima e carnefice. La Locride è anche tanto noir per sue peculiarità ambientali: la storia si fonde con l’arte, l’ignoto e le inesplicabili complicazioni dell’imprevedibile fattore umano.

Qualche anticipazione sul prossimo romanzo?

Potrei dire che stavolta finisco dove avevo iniziato.

Maria Teresa D’Agostino ( tratta da Zoomsud)

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