Ci sono momenti in cui non vedi l’ora di  alzarti dal letto di buon mattino per iniziare il lavoro che ami e ci sono attimi in cui dentro di te riscontri l’amarezza per il fatto di aver dovuto leggere dei titoloni di giornali che  vanno a qualificare come ” boss della ‘ndrangheta” una persona che tu hai frequentato da ragazzo e che é cresciuta insieme a te nei vicoli del paese, godendo dell’ educazione di una famiglia davvero  perbene con il padre Orlando, la madre Esterina e le tre sorelle che hanno sempre praticato nel quotidiano autentici sentimenti di  umanità, solidarietà e rispetto. Fermo restando che non intendo entrare nelle vicende  processuali, in questa sede ricostruisco solo la sua vicenda umana. Ironia della sorte  Pino é stato ucciso per due volte da chi avrebbe dovuto  prendersi cura della sua salute e garantire  l’esercizio dei suoi diritti. La prima volta agli inizi degli anni 80, quando, a seguito di un grave incidente in moto, gli venne amputata la gamba all’ospedale di Locri. L’intervento poteva essere evitato se solo fosse stato presente l’elisoccorso. A quei tempi, infatti, già in alcuni ospedali del Nord (Bologna e Milano) si effettuavano interventi di ricostruzione dell’arto senza ricorrere ad amputazione. Lui assorbì la botta,  sposandosi poco tempo dopo e cercando di costruirsi una vita dignitosa grazie anche al calore e all’affetto dei suoi figli. Sembrava scorrere tutto normalmente poi  l’estate scorsa é scattata la misura cautelare . Ripeto, non voglio entrare nel merito di questa brutta vicenda, mi sembra opportuno  però evidenziare  che una persona con la gamba amputata nel quotidiano ha davvero necessità di cure e medicazioni specifiche. Tutto questo veniva garantito dall’ istituto penitenziario di Voghera? Cosa é accaduto dentro quel carcere già da tempo al centro dell’attenzione mediatica per episodi poco chiari? Non si poteva sostituire la misura della custodia cautelare in carcere con quella meno afflittiva degli arresti domiciliari? Domande che non avranno mai risposte. Pino é morto in carcere a 51 anni in attesa di giudizio e certamente non era un boss di ‘ndrangheta.

Antonio Tassone – ecodellalocride.it