R. e P.

A Palazzo Sant’Anna, nel cuore di Gerace, con il patrocinio dei Lions Club locali e dell’Archeoclub locrese, si è tenuto, il 16 agosto, il secondo incontro con la scrittrice Lina Furfaro, a completare, come in un dittico, il discorso iniziato in contrada Ropolà con la presentazione del suo libro su San Jeiunio. Dopo il misterioso eremita bizantino, si parla adesso di donne calabresi, tre simboli della lotta sociale del dopoguerra, figure eroiche e coraggiose che la penna dell’autrice ha saputo disseppellire dall’oblio per farne le protagoniste dei suoi tre romanzi: La maestra Tita, Giuditta Levato la contadina di Calabricata e La Gelsominaia.

Personalità poliedrica, la Furfaro, scrittrice versatile, che spazia dalla monografia storica, al genere diaristico, alla poesia, fino a incursioni nella letteratura dell’infanzia e nel teatro. Ma è soprattutto nel romanzo storico-biografico che la sua penna dà il meglio di sè. Come dimostra questo trittico, che restituisce il vivido affresco di una Calabria dimenticata, unendo a una seria ricerca archivistica l’appassionata freschezza di una scrittura intimistica e portatrice di valori.

Vivace e originale anche il modo in cui Vincenzo Tavernese, vicesindaco di Giojosa, ha saputo presentare i libri, attraversandone il contenuto per lasciar spazio alla lettura di alcuni stralci, intrecciando con l’autrice e i suoi testi un dialogo fecondo di riflessioni personali e agganci con l’oggi.

Ambientata tra Locri e Grotteria, Maestra Tita incarna una delle tante giovani insegnanti calabresi che nel dopoguerra combattono in prima persona contro povertà e analfabetismo dilaganti nelle campagne, guadando fiumare, andando incontro ai più piccoli e fragili per offrire cibo, vestiti e istruzione. Supportate dalle associazioni cattoliche e da monsignor Perantoni, l’allora vescovo di Gerace, esse affrontano mille difficoltà, nella cornice apocalittica delle alluvioni dei primi anni ’50, sotto piogge torrenziali e straripamenti di fiumare che “sembrano rivendicare i propri corsi, impegnati da agrumeti, cumuli di sporcizia, ammassi di terra”, dove il bestiame, ove non travolto dall’acqua, geme “bramando biada”. Immagini che evocano immediate analogie con l’oggi, con i recenti disastri in Emilia Romagna e a Bardonecchia. Ma ben più pervasiva l’alluvione calabrese: ad aggravarla è lo scenario postbellico di un’Italia ridotta in macerie, dilaniata da lotte civili e povertà, tutta da ricostruire. Attuale resta anche il problema dell’educazione, dell’istruzione, della lotta contro l’eterno male dell’ignoranza. Ed è curioso come il fenomeno migratorio che portò all’arrivo di tante insegnanti da fuori, abbia, dagli anni ’70, invertito la rotta, come ben sanno i molti docenti calabresi emigrati al nord. Emigrazione che investì, invero, tutti i settori lavorativi, fuga dei calabresi da una povertà ineluttabile.

Ma la Calabria conosce anche, negli stessi anni, un risveglio di coscienza dei suoi lavoratori, a partire dai contadini in lotta per la redistribuzione delle terre incolte; eventi, questi, che fanno da sfondo al secondo romanzo, incentrato sulla figura storica di Giuditta Levato. Parabola esistenziale interessante, la sua, che la conduce a diventare protagonista nelle occupazioni terriere dei braccianti, fino a una tragica morte per mano di un sicario. Un romanzo storico nato dalla lettura dei documenti d’inchiesta, ma anche dalle interviste ai testimoni oculari. La Furfaro riesce così a tratteggiare un’eroina a tutto tondo, cogliendola nelle sfumature più intime, come quando, in occasione delle presentazioni ufficiali, ella si fa trovare dal futuro marito in casa, com’era uso, “chi facia a carzetta”, mascherando la piena dei suoi sentimenti dietro a un laconico: “Piaciri da riconoscenza, comu stati?”.

Nel terzo romanzo, con la giovane Mena, si torna parlare di una figura tipica del dopoguerra calabrese, la gelsominaia. La piaga irrisolta del lavoro minorile e bracciantile si intreccia qui con le dinamiche economiche internazionali, che sovrastano, condizionandole, le vite delle inconsapevoli lavoratrici. Esse conducono un’esistenza ignara, piena di umanità, affetti e sogni, “cantando ‘nte filari…linchiendu a cofana” e “ricriiandusi” in sul far dell’alba, allo spuntar del sole; giungono tuttavia, nel finale, a una presa di coscienza dello sfruttamento, che le spingerà a uscire dal campo di raccolta verso la strada, a chiedere un pieno riconoscimento dei propri diritti.

Fa riflettere qui, Tavernese, su come l’incapacità di andare oltre il semilavorato del gelsomino (ma lo stesso è valso per la seta) abbia ostacolato l’indipendenza economica della nostra regione, rendendola più soggetta alle oscillazioni del mercato internazionale. E oggi, che al gelsomino è succeduto il bergamotto, ancor più occorre guardare al passato con occhio critico per imparare dagli errori, lavorando per la produzione di circuiti economici virtuosi radicati sul territorio, con l’obiettivo di creare posti di lavoro e arginare il fenomeno dell’onnipresente emigrazione giovanile.

Abbiamo una terra scrigno di risorse, valorizzare le quali è doveroso e necessario. Ma condizione indispensabile per riuscirvi è debellare l’ignoranza, come ribadisce anche la prof.ssa Pollichieni, amica dell’autrice ed ex docente, individuando nella scuola e nella cultura “gli strumenti più efficaci su cui investire”, per costruire “una coscienza critica, che renda i giovani capaci di scelte più libere e consapevoli, spronandoli a un impegno concreto”. E in questo compito decisivo la scuola ha bisogno della collaborazione di tutti, dalle associazioni locali, alle famiglie, alle autorità politiche, agli enti educativi.

Ma gioca un ruolo decisivo anche la storia, veicolo di cultura, da avvicinare con un sempre rinnovato spirito critico. “Senza rottamare tutto”, ma recuperando lo spirito di cooperazione e  il concreto impegno sociale, valori ben incarnati dalle eroine e dagli eroi dei tre romanzi.

Forse è per questo che i testi della Furfaro hanno fatto breccia nel cuore di tanti studenti e studentesse: perchè avvicinano le dimensioni globale e locale, animando la storia studiata sui libri con vicende e volti di nostri conterranei impegnati a cambiare il mondo; perchè ispirano i giovani lettori, con il loro esempio, ad un impegno concreto per il bene comune del proprio territorio.

Livia Archinà