Esiste una correlazione tra la qualità dell’aria delle nostre città e la diffusione del coronavirus? Se ne sta discutendo molto in questi giorni, specie alla luce dei dati sulla mortalità (negli anni precedenti il 2019) delle patologie dell’apparato respiratorio: dati che vedono una incidenza molto più marcata nelle aree del nord-est e nord-ovest, quelle che per condizioni climatiche e socio-economiche soffrono a causa di livelli di smog e inquinamento ambientale molto più elevati. Sull’argomento abbiamo sentito il dottor Aristide Anfosso, medico di medicina generale: “Le molecole tossiche contenute nei particolati – spiega – si accumulano negli interstizi dei polmoni, e con l’andare del tempo provocano reazioni infiammatorie, che creano problemi sempre più seri. Il coronovirus è, invece, una particella biologica, che però aggredisce gli stessi siti polmonari, gli interstizi. Ne consegue dunque che, nel caso di persone già gravate da infiammazioni provocate dal particolato, il coronavirus va ad aggravare il quadro. Il virus, in pratica, aggredisce un interstizio già compromesso e lì determina la polmonite”.

“Il Nord ha una popolazione pari a metà della popolazione italiana; e poi, la presenza delle Alpi e degli Appennini hanno fatto si che si creasse una stasi per cui in quelle aree circola poca aria e poco vento. In più non ci sono le condizioni ottimali di sole e vegetazione che abbiamo in Calabria, dunque gli inquinanti sono presenti in maniera determinante. E l’associazione tra inquinanti e scarsa qualità ambientale ha portato quelle popolazioni al primo posto nella casistica legata ai problemi respiratori. Il virus, dunque, in quei casi va ad aggredire persone il cui apparato respiratorio è già compromesso

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