Di Francesco Marrapodi
Sarà un po’ come nel romanzo “Gli animali fantastici: dove trovarli”, di J. K. Rowling. Ma, in realtà, cosa c’entra tutto questo con gli orrendi mostri della Calabria? E soprattutto dove trovarli?
Ci fu un tempo, non poi così lontano, in cui l’infanzia calabrese era sorvegliata non da schermi luminosi, ma da ombre antiche e potenti. Tempi in cui i più piccini camminavo, per una serie di motivi educativi, sul filo del rasoio; tempi che solo i più impavidi osavano sfidare. E quando questi bambini varcavano il suddetto confine e facevano i capricci, non bastavano gli sguardi severi o le parole dure dei più grandi: veniva evocato lui, u Mamau – o il suo oscuro gemello, u Barasaccu. Bastava nominarli per farci venire la pelle d’oca. Chi erano? Nessuno lo sapeva con certezza. Non avevano un volto, né una forma certa. Ma tutti sapevano una cosa: veniva a prendere i bambini più monelli e birichini.
Qualcuno dice che fosse simile al gatto dell’Aspromonte, una creatura selvatica, quasi estinta, e forse ridotta oggi a un’ombra della sua gloria passata, della taglia di un semplice gatto domestico. Altri dicono che si trattasse di una lince dalle orecchie acuminate, più feroce di un lupo, capace di assalire pollai, rubare agnelli e – appunto secondo le leggende – rapire i bambini quando facevano i monelli.
Ma se tutto questo non fosse che la superficie? E se u Mamau fosse molto di più? Una creatura non reale certo, ma ancestrale, scolpita nella memoria collettiva sin dai tempi della Magna Grecia? Dopotutto, le antiche monete greche raffiguravano mostri fantastici: ippogrifi, chimere, draghi marini. E perché non anche il Mamau, spirito arcaico nato dalla fusione tra il mito e la paura? Forse, in fondo, non volevamo liberarci di lui. Forse u Mamau e u Barasaccu sono il simbolo stesso della nostra cultura: un’eco profonda, misteriosa, che ci ricorda le notti passate attorno al focolare, le storie sussurrate dai nonni, la bellezza ruvida di una vita vissuta con poco ma piena di cuore e di amore.
E anche se oggi il mondo corre veloce, dominato dalla cultura degli smartphone e dei like, c’è ancora spazio – tra le pieghe della memoria – per il mostro sotto il letto che ci ha insegnato la magia delle radici ma anche a crescere. Perché certi miti e certe leggende non muoiono mai. Si addormentano, e spettano di essere rievocati.