di Francesco Marrapodi

Non è un semplice pomodoro. È un principe della terra, un frammento di sole racchiuso nella pelle vellutata di un frutto. E non è propriamente rosso, ma di un rosa acceso, vivido come le albe e i tramonti che baciano quotidianamente la nostra terra. Il pomodoro rosso di Belmonte, arrivò in Calabria nei primi de 900, portato dalle mani di Guglielmo Mercurio, emigrante di ritorno dagli Stati Uniti. Fu quasi un caso, eppure da quel momento il destino del pomodoro e della terra si fusero in un abbraccio indissolubile. Il clima gentile e la generosa conformazione del territorio fecero il resto: nacque così un frutto unico, dolce come un ricordo d’infanzia, polposo e tenero, grande come la generosità del suo popolo.

Oggi il pomodoro di Belmonte è molto più di un alimento: è un simbolo. Inserito tra i tesori della tradizione enogastronomica calabrese dal Ministero delle Politiche Agricole, è anche l’unico pomodoro in Italia ad aver ricevuto la Denominazione Comunale d’Origine (De.C.O.), sigillo d’amore e appartenenza.
A dominare la sua terra natia è la provincia di Cosenza, che ne custodisce circa il 70% della produzione. Non lo si può confondere: il suo sapore è gentile, non aspro ma dolcemente fruttato. Basta un filo d’olio buono, un pizzico di sale e una spolverata di origano selvatico del reggino – altra perla del territorio – per accendere una sinfonia di sapori che racconta l’anima della Calabria.

Il pomodoro di Belmonte non si mangia soltanto: si celebra, si racconta, si ama. È l’espressione più autentica di una terra che sa trasformare anche il caso in poesia. E quando lo si affetta, è come aprire un ricordo condiviso: ogni fetta è una pagina di storia familiare, ogni seme una promessa di ritorno. Nei mercati, nelle cucine, nei racconti tramandati a voce bassa, vive ancora l’eco di quel primo innesto. Così, anno dopo anno, stagione dopo stagione, questo frutto antico, seppure venuto da oltreoceano, continua a parlare la lingua calabrese.