R. e P.

La cura 

Tutto ebbe inizio nel  periodo della mia adolescenza.

Un periodo un po’ strano, con aspre delusioni e poche soddisfazioni ma che ho sentito definire quasi sempre 

“La fase più bella della nostra vita”.

Era cominciato da poco il mio penultimo anno di liceo quando, cominciarono i problemi. 

Sono sempre stata insicura di me, ma mai quanto quel periodo.

Giorno dopo giorno trovavo in me ogni difetto, mi criticavo, non mi accettavo, mi odiavo.

Più mi guardavo, più non riuscivo ad andare d’accordo con me stessa.

“Perché mi sento così?”

“Perché non sono come le altre?”

“Perché odio me stessa?”                                                             “Mi vergogno di me!”

Altre mille domande, altrettante affermazioni.

La testa non smetteva di perdere il controllo.

Pianti, nodi alla gola, tremori alle gambe, cuore accelerato, occhi stanchi.

Il corpo perdeva l’equilibrio, la mente navigava, toccava i punti più deboli.

Ne risentivo tanto, il dolore mi lacerava, era insopportabile.

Sentivo le parole delle persone che mi stavano accanto;

“Non abbatterti.”

“Fatti forza.”

“Stai tranquilla.”

“Urla.”

“Respira, respira, respira.”

Mi ronzavano nella testa tutte le parole che mi venivano sussurrate.

Mi sentivo lontana da loro, in un mondo tutto mio dal quale non riuscivo a trovare la porta d’uscita.

Un caos dentro me. 

Mi chiedevo : “Come posso ritrovarmi? Da dove inizio? Qual è la cura esatta?“

Imploravo Dio, urlavo dentro me, chiedevo aiuto.

Sentivo il vuoto.

Nessun segno.

Quasi non credevo più che esistesse.

Le mie parole di ogni giorno rivolte a lui;

“Illuminami tu”

“Mi affido a te”

“Guidami”.

“Non lasciarmi nell’oscurità.”

Arrivava la notte, una notte infinita.

Mi guardavo intorno ed era tutto buio.

Io e il buio.

Avevo paura, mi sentivo così sola.

Mi giravo e mi rigiravo, incubi, voci notturne nella mia testa, ansia.

Mi svegliavo, fissavo le pareti della mia cameretta.

Le ore non passavano mai, sembrava non arrivasse mai la mattina seguente.

Erano le sei del mattino, il sole stava sorgendo.

Lo guardai con tutto il suo splendore, facendo un piccolo sorriso accompagnato da un profondo respiro.

Sperai in un giorno migliore.

Qualcuno mi consigliò di rivolgermi ad uno psicologo. 

Iniziai le sedute, settimana dopo settimana.

Fu difficile all’inizio, non riuscivo a parlare.

Sentivo di non essere nel posto giusto.

Lo psicologo chiedeva, chiedeva, ma non riceveva quasi nessuna risposta da parte mia.

Dopo poche sedute iniziai a parlare.

Con una voce sottile, impaurita, raccontai il mostro che mi stavo portando dentro di me, quel mostro che mi aveva quasi distrutta.

Sigarette, tagli, si aggiunsero alla lista delle cose che non avrei mai dovuto fare.

Il pensiero di farla finita mi aveva danneggiata psicologicamente quasi del tutto.

“ Quanto è brutto perdere il controllo della propria testa!”

“ Può una ragazzina trovarsi in una situazione del genere? “

Alla seconda domanda mi risposero:

“ Sei troppo sensibile, infatti accade tutto ciò quando lo si è “.

Guardai per pochi secondi la persona negli occhi, poi li abbassai.

Aveva creato in me un brivido.

Quel brivido che ogni volta mi rendeva brutta dentro.

Pochi secondi è il nodo alla gola ritornò, un macigno dentro.

Dovevo trovare la forza interiore per affrontarlo, volevo essere più forte io ma le parole che giravano nella mia testa erano tante, non le sopportavo, in quel momento avrei voluto solo sbatterla in un muro per farla tacere, ma era quasi impossibile riuscirci.

Una mano mi accarezzava, voleva proteggermi, cercava di rassicurarmi.

Si faceva anche lei domande, una in particolare, a cui io, non avevo la forza di  rispondere.

“Perché devi soffrire così tanto?”

La sentivo, il cuore si spezzò a quella domanda.

Mi aggrappai alla sofferenza che in quel momento le avevo causato involontariamente.

Lei continuava a starmi accanto, asciugandomi delicatamente le lacrime, stringendomi la mano e facendomi sentire tutto il suo supporto.

Mia madre.

Lei, nonostante le abbia fatto del male più volte, non mi ha mai abbandonata. 

Passarono giorni infiniti, molto malinconici, la tristezza nel mio viso non passava inosservata, ero spenta, quasi arresa dall’idea che un giorno non potessi realmente rinascere, racchiudendo in un angolo del mio cuore tutto quello che mi aveva reso una persona diversa e assente dai miei cari, dai miei amici e dalla mia scuola.

Ma con il tempo, si riaccese una piccola luce, non mi sentivo quasi più intorno al nero.

Ripensai alle domande che mi ero fatta inizialmente e cercai di trovare da sola una risposta.

Mi risposi che la vita mi era stata donata così, e così dovevo saperla apprezzare.                                                                              Continuai a pensare che nella mia vita avrei incontrato sicuramente degli ostacoli, che non bisogna mai sentirsi un fallimento perché tutte noi abbiamo un dono diverso e dobbiamo coltivarlo, imparando ad amarci con tutte le nostre imperfezioni.

Ci sentiamo incapaci, privi di forze e pensiamo di non farcela.

Ripetiamo continuamente le cose negative che la mente ci spinge a pensare.

Qui è che affondiamo, non dovremmo mai mollare, neanche quando non è visibile ai nostri occhi un piccolo cambiamento.

Non bisogna mai annegare le nostre emozioni, perché belle o brutte che siano, fanno sempre parte di noi.

I mesi seguenti furono più di bassi che di alti, mi sono fatta condizionare dall’idea di non essere abbastanza, non riuscivo quasi mai ad uscire da quelle mura circondata giorno e notte.

Era il mio posto sicuro, lontana da tutti.

Lì, nella mia camera, con un quaderno ed una penna a scrivere tutto ciò che mi veniva dettato dalla testa.

Mi faceva sentire un po’ libera, ho sempre amato scrivere.

Riesco ad essere me stessa, senza filtri.

Un giorno nuovo, una pagina nuova, all’interno scrissi l’emozioni che provai durante la notte.

Passai giorni interi così, i pensieri erano diventati insopportabili, scriverli, ad un certo punto, mi causava più male.

Non era più un sentirmi libera menzionandoli in un foglio, ma un uccidermi psicologicamente rileggendoli e rivivendoli.

Brividi, nodi, perplessità, battito cardiaco veloce, occhi annebbiati.

Ero consapevole di aver superato le mie crisi tutte le volte che si erano presentate, ma non ero ancora pronta a rileggere tutto quello che giorno dopo giorno avevo vissuto.

Abbandonai il quaderno e la penna per un periodo, dentro di me accumulai tutto sempre di più.

Mi ritrovai in un luogo perso dentro la mia mente, non ci capivo più niente e la testa mi scoppiava.

Caddi nuovamente, mi feci male.

Persi il controllo di me stessa sentendomi una nullità.

Furono spiacevoli i giorni seguenti, ma una cosa l’avevo finalmente presa in considerazione: “La forza che avevo trascurato per molto tempo”. Penso che sia la prima cosa, senza di lei ci perdiamo, dimenticandoci di vivere come dovremmo.

Iniziai ad uscire, ad incontrare i miei amici, ad andare a scuola.

Feci tutto piano, inizialmente fu difficile. Stavo riprendendo la mia quotidianità. 

Le crisi si presentarono in presenza dei miei amici, a scuola non mancavano nemmeno.

Ebbi il supporto di cui  avevo bisogno, continuai i giorni così, a volte percepivo dei miglioramenti, altre volte sentivo l’anima rompersi.

Non mi arresi nonostante tutto, anche quando non riuscivo a trovare una ragione.

“Perché arrendersi?”

 “Merito di vivere davvero i miei giorni dentro un’oscurità senza cercare la serenità che ho perso?”

Cercai di rispondere a queste domande mentre i giorni stavano scorrendo lentamente, prendendomi del tempo per riuscire a guarire ragione ed anima.

Penso che il dolore fisico sia diverso da quello mentale.

La  mente ti ruba, ti trasforma, ti fa sentire sbagliata, ti stanca, ti crea un vuoto privandoti dalla tranquillità, ma sopratutto ti fa sentire morta dentro.

Perdendo il controllo della mente, perdi te stessa.

È successo, mi sono persa, persa completamente.

Testa ed anima in disaccordo,

la testa creava un trambusto,

l’anima la sentivo frantumarsi.

Cercai, con forza, di colorare le mie giornate oscure.

Iniziai a stare insieme alle persone, sentivo confusione, la testa faceva male, ma non mi lasciai condizionare e continuai a salire gradino dopo gradino.

Ci sono stati molti bassi, ma imparai, senza fretta, a riprendere il controllo di me stessa che avevo perso.

Pensai che ogni ferita si sarebbe ricucita,che la mente sarebbe tornata al posto giusto,che il cuore lo avrei sentito accelerare solo per le cose belle,pensai che gli occhi, un giorno, sarebbero tornati pieni di speranza,che i nodi alla gola non li avrei più percepiti,ma che soprattutto, il mio essere folle, sarebbe tornato insieme alla mia serenità.

Mi affidai a questi pensieri, credendo in me dopo tanto tempo.

Affrontai le mie giornate, mi circondai delle persone che mi sono state vicine, cercai di mettere da parte le voci che dentro di me sentivo, senza sentirmi inferiore a nessuno e vivendo al pari degli altri.

Le  mie giornate iniziarono a prendere colore, riuscivo a guardarmi allo specchio sorridendomi, la mia voce non tremava più, nemmeno le mie gambe.

Gli occhi ammiravano le cose belle, non più quelle negative.

L’anima la sentivo in pace,cosi come anche la ragione.

Ero io, sono io, sono tornata in me.

È stato un periodo forte, intenso, quasi non si può descrivere.

Ho provato di tutto, emozioni, turbamenti, tristezza e fallimenti.

Avevo perso il motivo per il quale avrei dovuto continuare a vivere, non accettavo nulla di me, mi sentivo infelice, persa.

Lo specchio era diventato il mio incubo, non potevo guardarmi.

Ogni qual volta che lo facevo, annegavo nel buco nero che mi sono portata per tanto tempo dentro di me.

Mi sono riscoperta passando questo ostacolo che non sembrava finire mai.

La cicatrice nel mio cuore rimane, la porterò sempre con me, non posso dimenticare come mi sono sentita e cosa ho provato,ma ho imparato, con molta pazienza a conviverci, lasciandola come un brutto ricordo che mi ha cambiata, rattristandomi, facendomi crollare più volte per poi farmi rinascere, alzandomi a testa alta, rendendomi più forte e diventando quella che ad oggi sono.

Ho iniziato ad accettarmi, amandomi con tutti i miei difetti, senza giudicarmi e mettendomi al primo posto.

La  mia cura sono sempre stata io, anche se per un po’ l’avevo dimenticato.

I. P.