Il multiculturalismo è in pericolo? La sfilza di attacchi terroristici in Europa, i flussi migratori incontrollati da Africa e medio-Oriente, il conflitto in Siria; tutto ciò sfocia in isterismo di massa, xenofobia, razzismo. “Aiutiamoli a casa loro” è lo slogan di chi sa che la situazione è grave, che “a casa loro” si muore, ma rimane spaventato. Del resto, mettendo da parte chi prova odio gratuito verso lo straniero, è anche comprensibile che un ipotetico “Brambilla Fumagalli”, medio-borghese lombardo, sia preoccupato dalla deriva terroristica che l’infinita ondata di migranti arrivati in Italia potrebbe avere.

Ma questo è un pericolo reale? Statisticamente parlando, potrebbe. Nel 2016 gli sbarchi sono aumentati ancora, 181.436 migranti, il 16% in più rispetto al 2015, e questi primi mesi del 2017 sembrano continuare sulla stessa tendenza. E su 181.436 persone, è davvero così improbabile che anche uno soltanto, un giorno qualunque, si faccia esplodere o si metta a sfrecciare con un tir su un’isola pedonale? Questo è il ragionamento di chi ha paura; legittimo o meno che sia.

Cercando di essere più lucidi, la domanda da porsi è: perché su 181.436 migranti arrivati nel 2016, solo 2654 sono stati ricollocati in altri paesi dell’UE? La previsione era di 40.000 in due anni. Forse un programma europeo più efficiente avrebbe aiutato a prevenire la creazione di questo clima difficile, di terrore verso chi il terrore ha imparato a viverlo ogni giorno? La sensazione è che l’Europa, in particolare quella che non ha sbocchi sul Mediterraneo, non abbia voglia di farsi carico di un’emergenza che impiegherebbe troppo tempo e troppo denaro. Risorse da investire preferibilmente in questioni diverse, lasciando che se ne occupi (male) l’Italia, abbandonata a chi tenta di dare una mano, ai volontari, e a chi su questi riesce a crearsi anche un fruttuoso business.

Le parole del pm di Catania Carmelo Zuccaro (che ha rivelato di avere elementi su alcune ONG colluse con gli scafisti) hanno indignato metà paese. Quelli che inneggiano alla giustizia, che ricordano ogni anno Falcone e Borsellino, inconsapevoli forse che anche i due giudici all’epoca subirono lo stesso genere di indignazione riservata oggi a Zuccaro proprio da loro stessi. Nel frattempo la Procura della Repubblica di Trapani apre un’indagine per associazione a delinquere e favoreggiamento all’immigrazione clandestina verso alcuni operatori di Medici Senza Frontiere. Ciò non toglie il lavoro ammirevole che con totale abnegazione alcuni volontari e alcune organizzazioni (si spera la maggior parte) conducono ogni giorno. Ma fa sorridere chi ha la memoria lunga il fatto che soltanto pochi anni fa, gli stessi intellettuali che oggi hanno da ridire sull’operato dei magistrati, portassero avanti delle autentiche battaglie per la difesa del lavoro dei giudici, ultimo baluardo del sempre più inflazionato concetto di giustizia. Questo perché negli ultimi anni il paese è stato fatto prigioniero dal politically correct, il quale era necessario per regolarizzare un po’ dei toni a volte troppo accesi, ma che adesso è degenerato in un vortice di mutilazioni al libero pensiero e che ha reso i pensatori inevitabilmente schierati. Ormai è solo un “pro o contro” che non lascia spazio ad analisi alcuna. Un paese diviso tra razzisti e moralisti, incapaci di osservare, valutare; continuamente sotto scacco di dettami partitici ai quali inconsapevolmente si legano.

Quindi il multiculturalismo è in pericolo? Sembrerebbe di sì. Come ai suoi tempi fu per le precedenti teorie assimilazioniste (secondo le quali i migranti avrebbero sostanzialmente abbandonato la propria cultura per ritrovarsi in quella del nuovo paese) che si rivelarono inattuabili, lo stesso potrebbe essere per quelle multiculturaliste. Questo perché formulate inizialmente in base ai flussi migratori convogliati verso il nord America a cavallo tra il 1800 e il 1900. Flussi che coinvolgevano maggiormente le popolazioni europee, orientali ed “ispaniche”, con culture sicuramente differenti da quella di un’America industrializzata, ma con dei tratti comuni e quindi compatibili. Ciò ha lasciato intendere che in una qualsiasi società fortemente sviluppata, più culture potessero facilmente coesistere. Ma non essendoci state migrazioni dai paesi arabi, era impossibile valutare questa prospettiva, che invece oggi è più che mai attuale e oggetto di studi. L’integrazione della cultura araba e musulmana nei paesi occidentali si sta rivelando più difficile di quanto ogni teoria multiculturalista avrebbe potuto prevedere, inoltre i conflitti e il terrorismo non aiutano di certo questo processo di integrazione che sembra sempre più lontano dal compiersi.

Ma sono tante le differenze sostanziali tra le due culture che non lasciano ben sperare. Basti pensare alle battaglie per le pari opportunità che si sono fatte in nome della parità di genere, mentre dall’altra parte avvengono lapidazioni e condanne a morte per donne adultere. Oppure ai diritti per le coppie omosessuali, mentre famiglie musulmane radicate anche da parecchi anni in Italia, cercano di far “curare” l’omosessualità dei figli. Certo, questo avviene purtroppo anche in famiglie dalla cultura cattolica, tuttavia risulta essere un fenomeno sempre più in estinzione, mentre nella maggior parte dei paesi islamici l’omosessualità è considerata un reato penale ed è prevista la carcerazione. In Arabia Saudita, Iran, Nigeria, Mauritania, Pakistan, Sudan, Somalia e Yemen è addirittura prevista la pena di morte.

Tutto ciò non fa certamente dei musulmani una minaccia o un pericolo. Anche loro hanno giovato degli effetti benefici della globalizzazione, soprattutto in alcuni paesi, che pur mantenendo cultura e tradizioni, si sono leggermente “occidentalizzati” (nel senso più buono del termine, quello che fa riferimento ai diritti civili) e questo spiega perché tantissime famiglie musulmane, probabilmente la maggior parte, siano riuscite ad integrarsi in Italia e nei paesi occidentali.

Ciò significa che il multiculturalismo non è morto, anche se in pericolo. Ma soprattutto che oggi non può considerarsi verità assoluta. La strada è ancora molto lunga.

Matteo Belcastro