di Francesco Marrapodi
Sarà il ponte dei mille perché?
Sta per prendere forma uno dei progetti più ambiziosi della storia repubblicana. E non si tratta soltanto di un’opera ingegneristica. Il Ponte sullo Stretto è molto di più: è una sfida al tempo, alla rassegnazione, a quel senso di immobilismo che da troppo accompagna il dibattito sul futuro del nostro Paese. È, per molti, la linea di confine tra ciò che siamo stati e ciò che possiamo ancora diventare. Per decenni, l’Italia ha rimandato. Dibattiti, relazioni, opposizioni, rinvii. Ma nel frattempo il mondo correva. Mentre le potenze globali costruivano infrastrutture, interconnessioni, ponti verso il futuro, noi restavamo fermi, impantanati nei veti incrociati e nelle fobie ideologiche. Oggi quel tempo è finito. Costruire il Ponte non è più una scelta: è un dovere. È un imperativo storico. Certo, le obiezioni non mancano. Si parla di rischio sismico, di impatto ambientale, di costi. Ma ogni grande opera ha i suoi rischi. E ogni grande nazione ha il dovere di affrontarli con competenza e visione. Perché il vero pericolo non è costruire: è continuare a non fare. È condannare la Sicilia – la più grande isola del Mediterraneo – a restare scollegata dalla sua madrepatria, ostaggio di traghetti e tempi morti, mentre il commercio globale si evolve, il turismo si trasforma e le catene logistiche si ridisegnano. L’Italia ha una posizione strategica straordinaria, al crocevia di Europa, Africa e Medio Oriente. Eppure lascia il suo Mezzogiorno, e in particolare Sicilia e Calabria, ai margini dello sviluppo infrastrutturale. È qui che il Ponte assume un valore che va oltre l’ingegneria: è geopolitica, è coesione nazionale, è visione industriale. È l’occasione per trasformare il Sud da periferia dimenticata a hub centrale dell’economia euro-mediterranea.
Sarà davvero il Ponte dei Mille Perché.
Perché il Sud chiede dignità.
Perché l’Italia non può più permettersi di aspettare.
Perché i grandi progetti non si fanno con il consenso unanime, ma con il coraggio.
E per un’ altra infinità di perché.
Chi oggi ostacola quest’opera, dovrà spiegare domani il prezzo dell’inerzia. Dovrà rispondere non solo alla cronaca, ma alla storia. Non solo alla propria coscienza, ma alle generazioni che verranno. Il Ponte va fatto. Perché è un’opera giusta, necessaria, simbolica. Perché è un atto d’orgoglio, di fiducia, di visione. E perché è tempo, finalmente, che l’Italia torni a credere nella propria grandezza.