“Quello dello scioglimento dei comuni per infiltrazioni mafiose è un argomento che spero di toccare durante la campagna elettorale, visto che mi candiderò”. “La relazione della Prefettura e le sentenze- ha dichiarato ieri nella sala del consiglio comunale l’ex sindaco Pietro Fuda- in occasione della presentazione a Siderno del libro  “Il viaggio della speranza – immagini, parole e atti del Congresso di Nessuno tocchi Caino, curato da Lorenzo Ceva Valla, Antonio Coniglio e Sabrina Renna ed edito da Reality Book, dicono che il Comune di Siderno è stato sciolto anche se non si è trovato nessun rapporto di ‘ndrangheta. Nelle carte non c’è  niente di niente e cosa più grave e che di tutto quello che è stato relazionato nel rapporto della Prefettura , nessuno ha fatto indagini e ci sono intercettazioni che potevano chiarire benissimo gli episodi”. Sin qui le dichiarazioni dell’ex sindaco Fuda.

Credo sia però opportuno ricordare ai lettori i motivi per cui i giudici della Corte d’Appello di Reggio Calabria hanno confermato l’incandidabilità dell’ex sindaco di Siderno Pietro Fuda. Nel dispositivo  “In linea preliminare il reclamante riproponeva la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 143, comma 11 TUEL, per violazione degli artt. 2, 3, 51 e 111 della Costituzione Italiana, nonché per violazione degli artt. 6 e 7 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo. La misura dell’incandidabilità – si osserva in proposito nel ricorso– si pone sul piano sostanziale come una vera e propria sanzione di carattere penale, con effetti equivalenti ad una sanzione accessoria. L’incandidabilità,-osserva sempre il reclamante-, è diretta conseguenza di una condanna penale ed è strutturata alla stregua dell’interdizione dai pubblici uffici. Essa dunque presenta aspetti comuni ad una pena accessoria, in termini di presupposti generici (la sentenza di condanna penale) e di conseguenze (la determinazione in capo al reo della incapacità elettorale passiva). La sanzione prevista dal comma 11 dell’art. 143 TUEL, continua il reclamante, ha natura penale, poiché alla sua applicazione consegue la declaratoria di un pesante giudizio di indegnità morale, impeditivo dell’accesso al diritto costituzionale di elettorato passivo. Il reclamante eccepisce inoltre l’inammissibilità della proposta, deducendo al riguardo che il Ministro si è limitato a trasmettere copia degli atti amministrativi preparatori del provvedimento di scioglimento, omettendo l’indicazione dei nomi degli ex amministratori ritenuti “responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento”. Nel merito il reclamante deduce che in ordine agli atti intimidatori cui si fa riferimento nella proposta e nel decreto impugnato non vi è alcun elemento di prova del coinvolgimento del reclamante. Assume che la certificazione antimafia non era obbligatoria, attesa l’esiguità degli importi oggetto degli affidamenti; non vi è stato infatti alcun contenzioso sugli affidamenti; per le opere di rilevante importo l’amministrazione si è avvalsa della stazione unica appaltante. Fa presente poi che l’unità di progetto non era obbligatoria per legge e non è stata realizzata per carenza di personale. Il piano spiaggia è stato affidato a una società esterna di Cagliari.Per quanto riguarda i lavori di realizzazione del Palazzetto dello sport, rileva il reclamante che la stessa Prefettura ha affidato i lavori alla Italcostruzioni.

Questione di costituzionalità

Per quanto riguarda la questione di legittimità costituzionale dell’art. 143, comma 11 TUEL, per violazione degli artt. 2, 3, 51 e 111 della Costituzione Italiana, nonché per violazione degli artt. 6 e 7 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo, la questione si fonda sull’assunto secondo cui la misura dell’incandidabilità si pone sul piano sostanziale come una vera e propria sanzione di carattere penale. Secondo il reclamante l’incandidabilità è strutturata alla stregua dell’interdizione dai pubblici uffici e presenta aspetti comuni ad una pena accessoria.

L’assunto è palesemente infondato, con conseguente manifesta infondatezza della questione di incostituzionalità.

La giurisprudenza ha concordemente escluso la natura di sanzione penale della dichiarazione di incandidabilità ex art. 143 con 11 d.lgs. n. 267/2000.

Come chiarito da Cass. civ., sez. I, n. 15038/2018, la dichiarazione di incandidabilità ex art. 143 con 11 d.lgs. n. 267/2000 non impone la verifica della commissione di un illecito penale né l’adozione, nel corso del relativo procedimento, delle garanzie previste per l’applicazione delle sanzioni penali. Non si tratta, infatti – ha aggiunto la S.C. – di una misura sanzionatoria secondo i principi elaborati dalla Corte Edu, ma di una misura interdittiva di carattere preventivo, i cui presupposti di applicazione sono ben individuati e quindi prevedibili, disposta all’esito di un procedimento che si svolge nel pieno contraddittorio delle parti, che tutela l’interesse costituzionalmente protetto alla legalità e imparzialità nell’esercizio delle funzioni pubbliche, incidendo sul diritto fondamentale all’elettorato passivo solo in modo spazialmente e temporalmente limitato.

Giova inoltre riportare, sotto questo profilo, quanto dedotto da Cass. civ. n. 7316/2016, che ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della norma in questione, secondo cui <<come si sono già espresse le Sezioni unite nella pronuncia 1747/2015, il procedimento giurisdizionale per la dichiarazione di incandidabilità ex art. 143, comma 11, TUEL è autonomo rispetto a quello penale, e diversi ne sono i presupposti, in quanto la misura interdittiva elettorale non richiede che la condotta dell’amministratore dell’ente locale integri gli estremi del reato di partecipazione ad associazione mafiosa o concorso esterno nella stessa, essendo sufficiente che egli sia stato in colpa nella cattiva gestione della cosa pubblica, aperta alle ingerenze e alle pressioni delle associazioni criminali operanti sul territorio”>>.

La questione di legittimità costituzionale è pertanto manifestamente infondata.

Omessa indicazione degli amministratori

-Il reclamante eccepisce l’inammissibilità della proposta per omessa indicazione da parte del Ministero dell’Interno dei nomi degli ex amministratori ritenuti “responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento”.

L’eccezione è infondata.

Come detto dal reclamante, infatti, instaurato il procedimento, il Tribunale ha fissato l’udienza del 23 ottobre 2018 per la comparizione delle parti onerando l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Reggio Calabria a notificare il provvedimento di fissazione dell’udienza, unitamente all’istanza ministeriale e alla proposta di scioglimento agli interessati entro il 3 ottobre 2018. Il decreto del Presidente della Sezione Civile del Tribunale di fissazione d’udienza è stato notificato all’ing. Fuda in data 2 ottobre 2018.

Tale notifica ha consentito all’odierno reclamante di comprendere di essere stato individuato quale amministratore responsabile ai sensi dell’art. 143 comma 11 TUEL e quindi di apprestare le proprie difese.

Inoltre, come condivisibilmente osservato dal Tribunale, la proposta del Ministero dell’Interno rinvia per relationem alla relazione del Prefetto di Reggio Calabria, in cui si fa espresso riferimento alla posizione di coloro che sono stati ritenuti collegati ad esponenti della criminalità organizzata e agli atti posti in essere in violazione della normativa di prevenzione di infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici, atti riferibili direttamente al Sindaco.

Nella relazione del Prefetto si fa espresso riferimento a comportamenti del Sindaco, odierno reclamante, rilevanti ai fini della valutazione ex art. 143 comma 11.

Quindi deve ritenersi che nella fattispecie in esame il diritto di difesa dell’odierno reclamante non abbia subìto alcuna apprezzabile lesione. Ne consegue la non configurabilità dell’inammissibilità o nullità della proposta, posto che quella invocata dal reclamante è con ogni evidenza una norma prevista a garanzia del diritto di difesa dell’amministratore oggetto della proposta; ragion per cui non vi è inammissibilità o nullità della proposta in mancanza di concreta apprezzabile lesione del diritto di difesa dell’amministratore stesso.

L’eccezione va pertanto rigettata.

– Condizionamenti elettorali

Venendo al merito, un primo elemento di cui ha tenuto conto il Tribunale consiste nel dato emerso nell’ambito dell’operazione Acero-Krupy, nella fase pre-elettorale, durante un’intercettazione ambientale effettuata il 22 maggio 2015 all’interno di un’autovettura in uso a Commisso Cosimo, ossia l’appoggio elettorale di Commisso Antonio, esponente di rilievo della consorteria Commisso, della canditatura di Figliomeni Giuseppe nella lista Centro democratico, che sosteneva la candidatura a Sindaco dell’odierno reclamante.

Questo dato, se di per sé solo considerato non è sufficiente ai fini della dichiarazione di incandidabilità ex art. 143 comma 11 tuel, è comunque utile per chiarire il contesto di particolare esposizione dell’attività amministrativa del Comune di Siderno ai condizionamenti della criminalità organizzata e quindi può assumere valenza non trascurabile unitamente ad altri elementi di maggior pregnanza riferibili direttamente al comportamento dell’odierno reclamante.

Contratti pubblici

Il Tribunale ha poi sottolineato il cospicuo numero di affidamenti diretti sempre in favore delle stesse imprese, alcune delle quali colpite da provvedimenti di interdittiva alla partecipazione alle gare pubbliche per collegamenti con la criminalità organizzata.

Emblematico è stato considerato dal Tribunale il numeroso elenco di affidamenti alla ditta ……… (v. pagg. 47, 48 e 74 della relazione della Commissione d’indagine), impresa destinataria già nel 2012 di interdittiva antimafia; ciò nonostante l’impresa ha ricevuto una pluralità di affidamenti diretti, non preceduti da alcuna richiesta di certificazione antimafia alla Prefettura di Reggio Calabria. Tale richiesta è stata presentata solo il 17 novembre 2017, ossia dopo l’insediamento della commissione di indagine; la quale ha anche rilevato che, nei diversi affidamenti, il responsabile del procedimento è ………. (……………), ………………………………, …………….., e del socio …………………………

Analogamente il giudice di prime cure ha messo in rilievo gli affidamenti diretti assegnati all’impresa …………, notando anche il susseguirsi in continuità temporale degli stessi (20.04.2016, 11.08.2016, 02.09.2016, 03.10.2016, 18.10.2016, 30.12.2016, 09.03.2017, 11.04.2017 e 09.08.2017) e l’omogenietà degli interventi, per complessivi € 8.155,27. La società richiamata, ha rilevato ancora il Tribunale, era stata destinataria del provvedimento interdittivo in data 8.10.2013; non è mai stata richiesta l’informativa antimafia nel periodo in cui sono stati effettuati gli affidamenti; la richiesta è stata effettuata solo successivamente, in data 18.10.2017, qualche giorno prima dell’insediamento della Commissione d’indagine.

Il reclamante osserva che, secondo la giurisprudenza amministrativa, “vista l’esiguità dell’importo oggetto dell’affidamento de qua, la acquisizione preventiva della certificazione antimafia non era obbligatoria secondo la normativa vigente e quindi la sua omissione non può essere contestata come elemento idoneo a fondare il provvedimento di cui all’art. 143 TUEL” (Consiglio di Stato Sez. III, n° 4972 del 19.10.2015).

L’assunto è infondato.

Infatti l’art. 100 d.lgs. n. 159/2011 prevede che l’ente sciolto ai sensi dell’art. 143 d.lgs. n. 267/2000 – come nel caso di specie il Comune di Siderno – deve acquisire, nei cinque anni successivi allo scioglimento, l’informazione antimafia precedentemente alla stipulazione, approvazione o all’autorizzazione di qualsiasi contratto o subcontratto ovvero precedentemente al rilascio di qualsiasi concessione.

Stesso discorso vale in ordine ai lavori per la costruzione del Palazzetto dello Sport, già oggetto di procedura di selezione pubblica, con l’aggiudicazione nel 2011 all’impresa ………….., che ha ceduto il ramo d’azienda all’Impresa……………

Il Fuda, in data 24.6.2015, quindi a ridosso dell’elezione a Sindaco, ha sollecitato alla Prefettura-UTG di Reggio Calabria <<l’evasione della certificazione antimafia richiesta con note n. 5043 del 22 febbraio 2012 e n. 25275 del 25 settembre 2013>> (v. relazione della Commissione di indagine, pag. 52). Ma il 23 luglio 2015, quando non erano ancora decorsi 30 giorni dall’invio della nota, l’Ente ha proceduto alla stipula del contratto d’appalto con la ………… per l’importo di €1.241.403,54 oltre IVA, senza attendere la certificazione antimafia.

Il reclamante nota che la Prefettura l’1 dicembre 2016, il giorno prima dell’interdittiva antimafia, ha affidato la realizzazione dell’impianto sportivo Congiusta alla …………

Occorre però notare che l’affidamento di lavori pubblici da parte dell’amministrazione al cui vertice era l’odierno reclamante non è stata un’evenienza occasionale ma una prassi o comunque una condotta reiterata.

Conferma di ciò si trae dalla vicenda riguardante l’elaborazione del piano comunale spiaggia. Nei confronti della società aggiudicataria – a cui l’incarico era stato conferito a dicembre 2016 – l’amministrazione comunale ha richiesto le informazioni antimafia soltanto a gennaio 2018, anche qui in violazione del richiamato art. 100 d. Lgs n. 159 del 2011.

A riprova dell’agire dell’amministrazione non conforme a criteri di prevenzione dell’attività amministrativa da infiltrazioni della criminalità organizzata, vi è il dato, evidenziato dal Ministro dell’interno e preso in considerazione dal Tribunale, delle concessioni demaniali marittime a imprese concessionarie i cui titolari erano personaggi di spicco (o stretti affini di personaggi) della consorteria localmente dominante.

Il reiterato affidamento di lavori pubblici e concessioni senza la richiesta di certificazione antimafia costituisce comportamento con ogni evidenza idoneo ad agevolare il condizionamento nell’attività amministrativa da parte della criminalità organizzata, in quanto in tal modo l’ente pubblico rinuncia ad acquisire elementi informativi concepiti per neutralizzare il rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata in settori di particolare rilievo dell’attività della pubblica amministrazione, come quelli dei contratti pubblici e delle concessioni di beni pubblici.

Tutti i predetti dati, considerato che il Sindaco, ai sensi dell’art. 50 D.Lgs. 267/2000, è organo di vertice dell’amministrazione, che ha il potere di sovrintendere al funzionamento dei servizi e degli uffici ed all’esecuzione degli atti, induce a ritenere condivisibile la conclusione cui è pervenuto il Tribunale di Locri nel decreto impugnato, circa il contributo efficiente derivante dal comportamento del Sindaco Fuda al condizionamento dell’attività amministrativa ad opera della criminalità organizzata.

Pertanto il reclamo va rigettato, con conseguente conferma del decreto impugnato.

Inoltre, in ambito penale, ricordiamo che su Pietro Fuda pende una richiesta di rinvio a giudizio in quanto accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.

Secondo la Dda della città dello Stretto, il politico avrebbe contribuito ad agevolare la cosca Commisso, egemone a Siderno, ed è ritenuto in collegamento con una struttura segreta di tipo massonico a sua volta collegata alla ‘ndrangheta .

Candidato a Sindaco con l’appoggio della lista “Centro Democratico” – che sempre secondo gli inquirenti sarebbe stata sostenuta dai Commisso – dopo l’elezione avrebbe dato apporto alla cosca, proprio in ragione dell’appoggio elettorale che ne avrebbe ricevuto, “adeguandosi alle loro logiche spartitorie nel campo dei lavori pubblici e del controllo del territorio, “condizionando le scelte dell’amministrazione” sull’eventuale modifica dell’area della zona industriale di Pantanizzi, come pure si sarebbe impegnato affinché una ditta aggiudicataria dei lavori di urbanizzazione secondaria e verde attrezzato nel quartiere “Cavone”, si rifornisse del materiale da un pregiudicato per associazione mafiosa. Un’altra contestazione mossa al sindaco è di aver ritardato la notifica di un’interdittiva antimafia della Prefettura nei confronti di una ditta di Costruzioni, la cui titolarità risulterebbe in capo ad una persona condannata per partecipazione in associazione mafiosa, tentata estorsione e turbata libertà degli incanti. Nel 2018 la consiliatura è stata interrotta a seguito della decisione del Consiglio dei Ministri. Ad agosto 2018, infatti, il Consiglio comunale è stato sciolto per presunti condizionamenti mafiosi, con un provvedimento sempre contestato dall’ex senatore.

In questo contesto, ci domandiamo se sia davvero il caso che il Senatore Pietro Fuda  decida di candidarsi a Sindaco senza correre il rischio concreto che in caso di sua eventuale elezione ed a seguito di eventuale condanna (si sottolinea eventuale) la città non dovrebbe di nuovo sorbirsi  un nuovo  commissariamento e la cosa ancora più bella è che ad appoggiare la sua candidatura potrebbe essere quel Mimmo Panetta, leader di Fattore Comune,  che ai tempi della ricezione di un semplice avviso di garanzia dell’ex sindaco Riccardo Ritorto (poi assolto da ogni accusa) si recò in Prefettura assieme ad una delegazione del PD (compresa l’attuale candidata a Sindaco Mariateresa Fragomeni) per chiederne lo scioglimento anticipato dell’Ente e per ripristinare l’agibilità  democratica della città , fortemente minata – a loro dire- dalla presenza della ‘ndrangheta. Gli anni passano ma ripassare la storia non fa mai male a nessuno !

Antonio Tassone – ecodellalocride.it