Dalle istruttorie esaminate dei giudici del Tribunale di Locri è emersa l’esistenza di una coeso gruppo di consanguinei o affini, che erano impegnati costantemente nei traffici di stupefacenti, scritte nella sentenza del processo “Revolution” che ha inflitto condanne a complessivi 33 anni di reclusione e 170 mila euro di multa.

Il contenuto è emesso dal colleggio composto dal presidente Fulvio Accurso , dal giudice relatore Maria Teresa Gerace e dal giudice Domenico Di Croce. Gli atti, sono stati analizzati dagli investigatori della Guardia di Finanza di Reggio, con il coordinamento della Dda Reggina, in particolare dal procuratore Nicola Gratteri e dal sostituto Francesco Tedesco.

Inoltre nel contenuto della sentenza si legge ancora, che l’associazione poteva contare su più “sedi” operative, all’interno delle quali gli associati potevano persino convivere per alcuni periodi, tanto erano stretti i loro rapporti e tale era l’impegno che profondevano nella loro attività.

Nel processo sono stati condannati: alla pena più alta, toccata a Giuseppe Pizzata (cl.1980), condannato a 15 anni di reclusione, con lui anche Pizzata Sebastiano a 10 anni, Francesco Zoccoli a 7 anni e Severino Rocco Zoccoli a 1 anno. I quattro imputati sono stati assolti da alcuni capi di imputazione, nello specifico i fratelli Francesco  e Severino Zoccoli dalla pesante accusa di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. In favore dei due Pizzata gli avvocati Eugenio Minniti, Rosario Scarfò e Gianni Russano hanno sostenuto l’insussistenza di elementi probatori.

I magistrati di Locri scrivono: “Oltre ad una consolidata rete di contatti, la struttura era costruita anche in modo di rendere difficile l’intercettazione o la comprensione delle comunicazioni tra sodali, che acquisivano schede telefoniche anche straniere, e le utilizzavano prevalentemente inviando sms , anche non in lingua italiano o cercando di camuffare la voce, e cambiavano o si scambiavano con una certa frequenza. Questo per depistare le indagini, che ipotizzavano esistenti a loro carico, e che avrebbero potuto condurre a scoprire le loro “case”.

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