di Giovanni Tartaglia Polcini

  • L’iter amministrativo per lo scioglimento degli enti locali prevede il potere d’iniziativa in capo al Prefetto che, informato dalla magistratura o dalle Forze di polizia, del potenziale rischio di infiltrazioni mafiose in un ente locale, avvia la procedura di accesso agli atti.

    La relazione prefettizia
    e L’articolo 143, comma 2 del Tuel dispone che il procedimento di scioglimento di un’amministrazione comunale o provinciale (o anche, a seguito della novella introdotta dall’articolo 1-bis del Dlgs 31 marzo 2003 n. 50, di città metropolitane, comunità montane, comunità isolane, unioni di comuni, consorzi di comuni e province, organi comunque denominati delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere, aziende speciali dei comuni e delle province e consigli circoscrizionali) «è avviato dal prefetto della provincia con una relazione che tiene anche conto di elementi eventualmente acquisiti con i poteri delegati dal Ministro dell’Interno ai sensi dell’articolo 2, comma 2-quater, del decreto legge 29 ottobre 1991 n. 345 convertito dalla legge 30 dicembre 1991 n. 410, e successive modificazioni ed integrazioni».
    La commissione d’accesso di nomina prefettizia, svolge un’attività d’indagine sull’operato dell’amministrazione locale, valutando la consistenza degli elementi sui quali fondare la proposta di scioglimento, rappresentati dai vizi e dalle anomalie dell’azione amministrativa dell’ente. Della commissione d’accesso fanno normalmente parte vice prefetti, funzionari di prefettura e funzionari delle forze dell’ordine (un funzionario della Polizia di Stato, un ufficiale dei Carabinieri ed un ufficiale della Guardia di Finanza).
    La commissione, al termine dei lavori, redige una relazione diretta al Prefetto che, a sua volta, invia un rapporto al Ministro dell’Interno, affinché valuti l’opportunità di giungere ad uno scioglimento.
    Alla relazione prefettizia, nel caso di riscontro di elementi che integrino gli estremi dello scioglimento, segue l’emanazione, da parte del Presidente della Repubblica, del decreto che dispone lo scioglimento dell’Ente. Tale decreto viene emanato dal Capo dello Stato su proposta del Ministro dell’Interno, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri. Il decreto stesso viene trasmesso contestualmente alla sua emissione alle Camere e conserva i suoi effetti «per un periodo da dodici a diciotto mesi prorogabili fino ad un massimo di ventiquattro mesi in casi eccezionali» (articolo 143, comma 3, del Tuel) e viene pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. Finalità precipua dell’istituto dello scioglimento è quella «[…] di assicurare il buon andamento delle amministrazioni e il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati».
    Avverso il decreto di cui all’articolo 143 Tuel è ammessa tutela giurisdizionale da esercitarsi nelle forme ordinarie (ricorso al Tar in prime cure ed eventuale, successivo, ricorso al Consiglio di Stato). Legittimati attivi nel giudizio sono i componenti degli organismi disciolti, mentre i legittimati passivi sono la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministro degli Interni, il Prefetto della provincia di appartenenza dell’ente sciolto, la Gestione straordinaria dello stesso e l’Ente.

    La gestione post scioglimento
    Sciolta l’amministrazione, si segue una procedura molto simile a quella dello scioglimento per motivi ordinari. Viene difatti contestualmente nominata «una commissione straordinaria per la gestione dell’ente, la quale esercita le attribuzioni che le sono conferite con il decreto stesso» (articolo 144 del Tuel). Tale commissione è composta di tre membri «scelti tra funzionari dello Stato, in servizio o in quiescenza, e tra magistrati della giurisdizione ordinaria o amministrativa in quiescenza» (articolo 144 del Tuel). La stessa permane in carica fino allo svolgimento del primo turno elettorale utile. Nel caso dei comuni, vengono nominati tre commissari straordinari, prevalentemente provenienti dalla carriera prefettizia, cui vengono conferiti i poteri di sindaco, giunta e consiglio. Nessun potere straordinario, quindi, come potrebbe lasciar intendere il nome attribuito alla commissione.

    Proposte di scioglimento: i casi pratici più comuni
    Le cause che concorrono alla formazione di proposte di scioglimento possono essere diverse, anche molto eterogenee e, poiché vi è un esteso ambito di discrezionalità, si è formata una consistente giurisprudenza di casi tipici i più comuni dei quali vengono riportati di seguito.

    a. Legami, frequentazioni e parentele con mafiosi 
    È una delle cause di scioglimento più frequenti, sebbene raramente siano indicati come unico motivo del provvedimento di rigore. In contesti socio-culturali ove i valori familistici o del comparaggio assumono preponderanza rispetto al buon andamento della pubblica amministrazione, questo tipo di rapporti è considerato un indice di elevata condizionabilità dell’ente. I casi, al riguardo, sono moltissimi. Per esempio, lo scioglimento di San Luca (RC) nel 2000 è motivato, tra l’altro, anche sulla «… consistente partecipazione di amministratori e dipendenti comunali alla cerimonia funebre di un noto pregiudicato». Anche dall’indagine “Il Crimine” si rileva un dato di fondamentale importanza che consente di attualizzare la possibilità per gli uomini della ‘ndrangheta, definiti uomini attivi di fare politica (anche candidandosi).

    b. Connivenze e procedimenti penali a carico di amministratori 
    In caso di connivenze accertate, la dimostrazione della potenziale deviazione della gestione dell’ente da criteri di legalità risulta particolarmente agevolata. Ciò si evidenzia allorquando ad essere connivente è più di un amministratore.
    Casi ancor più emblematici sono quelli in cui a carico di uno o più amministratori venga constatata – anche relativamente al periodo antecedente l’elezione – l’esistenza di procedimenti penali per reati di tipo mafioso o la sottoposizione a misure di prevenzione quali indiziati di reati di tipo mafioso. L’accesso ed il relativo scioglimento sono inoltre divenuti quasi certi nelle realtà in cui gli amministratori vengono colpiti da misure cautelari nell’ambito di indagini per reati di criminalità organizzata.
    Lo scioglimento, in tali frangenti, viene basato quasi esclusivamente sui contenuti del provvedimento cautelare o, previa autorizzazione dell’Autorità Giudiziaria, sugli atti acquisiti dal fascicolo del procedimento.
    A Seminara, comune situato tra la piana di Gioia Tauro e l’Aspromonte, i carabinieri, poco prima delle elezioni amministrative del maggio 2007, documentarono ed intercettarono un incontro tra Rocco Gioffrè, capo della cosca di Seminara, e il Sindaco uscente del paese: «tu ti devi candidare – dice Gioffrè – perché qui decido io e la tua elezione è sicura. Possiamo contare su mille e cinquanta voti e sono più che sufficienti per vincere». La previsione del capomafia si concretizzò puntualmente: la lista del sindaco vinse con mille e cinquantotto voti. L’operazione dei carabinieri del novembre successivo (2007) portò in carcere i due interlocutori e il vice sindaco, già sindaco al tempo del primo scioglimento del comune nel 1991, e un assessore, nipote del boss. L’inchiesta disvelò il controllo completo da parte della cosca Gioffrè sul comune: dalle attività economiche gestite a livello locale alle concessioni comunali, dagli appalti ai progetti di finanziamento con fondi regionali ed europei.
    Negli ultimi tempi, molto si è parlato, anche per una felice e appropriata definizione di alcuni studiosi e del Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, di «zona grigia»: oltre alle professioni e all’imprenditoria, è la categoria dei pubblici amministratori degli enti territoriali a costituirne una parte, che altro non è che la “cerniera” tra le istituzioni e l’associazione mafiosa di riferimento, come è evidenziato dal ruolo di quel vice Sindaco di Seminara che sedeva alternativamente ai tavoli delle istituzioni elettive e non elettive (Prefettura, Ministero, Scuole, eccetera) e del patto scellerato con la ‘ndrangheta.

    c. Condizionamento delle consultazioni elettorali 
    Il reato di scambio elettorale politico – mafioso, previsto dall’articolo 416-ter del codice penale, è stato finora accertato in pochi casi. Tuttavia, nell’applicazione della normativa sullo scioglimento dei consigli comunali, il condizionamento mafioso del voto è stato richiamato in più di un’occasione. Al riguardo, oltre ai casi di campagne elettorali condotte per mezzo di minacce, intimidazioni o con l’esercizio di forti pressioni sia sulle liste avversarie sia sugli elettori, rilevano anche gli episodi in cui si registrano ingiustificati spostamenti di grandi quantità di voti tra il primo turno ed il ballottaggio, in conseguenza della modifica delle alleanze o dell’assunzione di nuovi accordi in merito alla spartizione degli assessorati.

    d. Attentati ed atti intimidatori contro amministratori
    Nelle regioni ad alta incidenza mafiosa, è piuttosto diffusa, sia in campagna elettorale che nel corso del mandato dell’ente, la pratica degli atti intimidatori e degli attentati nei confronti di candidati ed amministratori. Questi episodi comprendono una vasta gamma di reati:
    – incendio di autovetture e di porte di abitazioni;
    – uso di armi da fuoco per colpire ancora autovetture ed abitazioni ma anche sedi di partito o gli stessi uffici comunali;
    – atti dal contenuto simbolico tra cui l’uso di animali morti o loro parti, l’uccisione di animali domestici;
    – l’invio di lettere minatorie o altro.
    Rientrano in questa categoria, ad esempio, l’uccisione, con colpi di lupara, del cavallo del Sindaco di Taurianova (RC) il giorno di Capodanno 2009, cui è conseguito, poco dopo, lo scioglimento del Comune (il secondo della storia di Taurianova che, come si è evidenziato, è stato il primo comune d’Italia sciolto per mafia). Quest’ultimo amministratore ed i suoi assessori, tra l’altro, nei mesi precedenti, erano stati ripetutamente bersagliati con atti intimidatori di vario genere. In qualche comune sono stati colpiti fisicamente gli amministratori o loro parenti.

    e. Funzionari e dipendenti pubblici 
    La funzione d’indirizzo dell’attività delle amministrazioni spetta ai politici che, tuttavia, terminato il loro mandato, sono soggetti all’alea delle elezioni, il cui risultato può essere incerto. Chi, come le cosche, ha puntato su certi amministratori per il perseguimento di determinati fini, può quindi trovarsi in serie difficoltà se i propri candidati non vengono rieletti. Peraltro gli amministratori politici non svolgono direttamente attività di gestione e di tipo tecnico-burocratico. La criminalità organizzata, per la cura di determinati affari, predilige condizionare i funzionari amministrativi che, spesso, sono coloro che conferiscono continuità ai progetti mafiosi, indipendente dal ricambio che può registrarsi in seguito a una consultazione elettorale. è per questo motivo che la riforma dell’articolo 143 TUEL ha soddisfatto l’esigenza che anche il livello dirigenziale, responsabile della gestione, sopporti le conseguenze della propria condotta che, anche se immune da rilievi di ordine penale, deve poter concorrere a fondare la proposta di scioglimento formulata dal Prefetto. Di tale modifica si sentiva la necessità in quanto la soluzione consistente nell’azzerare unicamente gli organi elettivi poteva in alcuni casi rivelarsi addirittura controproducente. Si pensi all’ipotesi in cui il “manovratore” delle risorse comunali asservito agli interessi mafiosi sia il capo dell’ufficio tecnico, personalità “chiave” in contesto territoriale quale quello calabrese.
    In questo caso, lo scioglimento di un consiglio comunale non implicato nella infiltrazione mafiosa, con la nomina di tre commissari straordinari che (almeno nelle prime fasi) ignorano la realtà locale, potrebbe consentire al capo dell’ufficio tecnico, in virtù della conoscenza delle dinamiche interne all’ente e delle relazioni sul territorio, di continuare ad agevolare le cosche mafiose. La riforma, colmando questa lacuna, ha aperto nuovi orizzonti nel contrasto all’infiltrazione mafiosa negli enti pubblici, anche perché i collegamenti con la criminalità organizzata, siano essi parentele, frequentazioni, connivenze, collusioni o altro, sono assai ricorrenti anche e soprattutto con riferimento ai dipendenti ed ai funzionari comunali, i quali sempre più divengono destinatari di minacce ed intimidazioni.

    f. Irregolarità amministrative 
    Il campo dell’urbanistica è al centro delle attenzioni dei gruppi mafiosi, in quanto anche se in molti casi gli appalti pubblici (in particolare nei piccoli comuni) sono di proporzioni tali da non essere uno strumento idoneo per il riciclaggio, l’edilizia pubblica o privata consente ai mafiosi di assumere un ruolo determinante nel tessuto socio-economico locale, controllando le forniture, l’indotto e decidendo l’impiego della manodopera, come un vero e proprio “ufficio di collocamento”.
    Oltre al settore urbanistico, ve ne sono altri in cui le irregolarità amministrative si manifestano, anche palesemente. Basti pensare all’affidamento dei servizi di guardiania o degli incarichi di custode, alla erogazione di contributi per manifestazioni ed eventi promossi da soggetti vicini ai gruppi mafiosi.

    g. Omicidi, faide e pericoli per l’ordine e la sicurezza pubblica 
    Storicamente – come si è visto a proposito della faida di Taurianova – omicidi e fatti di sangue efferati, quali le guerre di mafia, sono stati i primi motivi che hanno attirato l’attenzione dello Stato verso l’accertamento del potenziale condizionamento degli amministratori locali da parte della criminalità organizzata. Anzi, proprio da questi gravi fatti è conseguita l’introduzione della legge sugli scioglimenti, da cui è scaturito il primo scioglimento del Comune di Taurianova (il secondo è intervenuto nel 2009).
    Ed ancora, sono stati elaborati dalla giurisprudenza altri indici che possono attestare la presenza di situazioni d’inquinamento mafioso o criminale in genere. In particolare, situazioni sintomatiche possono essere ravvisate laddove vi sia:
    – la costante frequentazione di pregiudicati;
    – l’esistenza di precedenti penali per gravi fatti di corruzione in capo agli amministratori locali;
    – l’inefficienza dei servizi offerti dagli enti locali;
    – la carenza di controlli e trasparenza nell’erogazione di benefici economici;
    – un grave dissesto finanziario;
    – la mancata riscossione dei tributi o gravi irregolarità nel rilascio di autorizzazioni e licenze amministrative;
    – costante e perdurante deviazione degli uffici comunali di edilizia e urbanistica dai compiti d’istituto;
    – irregolarità o mancanza di trasparenza nell’affidamento del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani;
    – la mancata costituzione di parte civile del Comune in processi penali a carico di esponenti della criminalità organizzata locale;
    – la concessione di contributi a soggetti affiliati e/o vicini a sodalizi criminali o mafiosi.

    Proposte di scioglimento, tecnica di redazione delle richieste
    La procedura per lo scioglimento prevede il potere d’iniziativa in capo al Prefetto. Ne consegue che si possono determinare, in estrema sintesi, due diverse situazioni.
    • In un primo caso potrebbe essere il Prefetto stesso che, motu proprio, rilevata la sussistenza di un fumus di condizionamento, predispone la procedura di accesso agli atti, secondo le modalità già descritte.
    • In alternativa, il Prefetto potrebbe ricevere un impulso da parte della Magistratura o da parte delle Forze dell’ordine.
    Quando ad attivare il Prefetto è la Magistratura, si è in presenza di un procedimento penale che può anche non essere definito. Ad esempio, può essere sufficiente che vi sia la conclusione delle indagini preliminari, con la relativa notifica delle informazioni di garanzia, oppure che vengano eseguite delle misure cautelari, dalle quali emerga un potenziale quadro di infiltrazione mafiosa in un ente pubblico. Molto più spesso, a dare impulso all’azione del Prefetto sono le Forze dell’ordine e, in diversi casi, ciò avviene indipendentemente dalla conduzione di specifiche attività di indagine nell’ambito di un procedimento penale.
    Le Forze di polizia sono infatti in grado di rilevare la potenziale presenza di infiltrazioni mafiose in un ente locale per mezzo dello svolgimento della propria attività informativa, una parte consistente della quale riguarda il monitoraggio delle amministrazioni comunali. Ad essere particolarmente efficace, in questo ambito, è l’attività svolta dall’Arma dei Carabinieri, anche e soprattutto grazie alla distribuzione capillare dei suoi presidi e all’automazione del processo informativo. La fase di «acquisizione di notizie», primo passo del processo informativo, si sviluppa proprio sul territorio.
    L’attività informativa iniziale finalizzata al rilevamento di potenziali condizionamenti degli enti locali si può tradurre, in definitiva, in due tipi di atti, entrambi destinati al Prefetto, sebbene in due fasi diverse:
    – l’eventuale proposta formulata al Prefetto dalle Forze dell’ordine, che ha la finalità di presentare gli esiti del monitoraggio dell’ente, evidenziando gli elementi indicativi del potenziale condizionamento e ponendo quindi il Prefetto in condizione di ordinare l’accesso;
    – la relazione conclusiva della Commissione di accesso all’ente, base della relazione che il Prefetto presenterà al Ministro dell’Interno, fornendo al decisore politico gli strumenti per valutare se applicare o meno la misura di rigore.

    La relazione della commissione di accesso
    Defin
    ire
     una struttura standard per la relazione conclusiva della commissione d’accesso sarebbe prima di tutto limitativo per i membri della commissione stessa che, invece, devono poter riferire gli esiti delle loro indagini attagliando il prodotto finale alle risultanze ottenute, evitando che rigidi schematismi possano relegare in secondo piano gli aspetti di maggiore rilievo. Vi sono tuttavia degli elementi comuni che, per consuetudine e prima ancora per il loro carattere di essenzialità, ricorrono nelle diverse relazioni. Tali elementi, in linea generale, ricalcano quelli già rilevati nel monitoraggio svolto dalle Forze dell’ordine. È tuttavia ovvio che, nella relazione della Commissione, venga riservato uno spazio maggiore all’analisi dei documenti a cui si è acceduto in virtù degli speciali poteri d’inchiesta, con particolare riferimento agli aspetti finanziari, all’erogazione dei contributi, alle gare d’appalto ed alle procedure concorsuali, al conferimento di incarichi, a specifici progetti di natura urbanistica o finanziaria. Gli aspetti economici assumono particolare rilievo e la loro analisi approfondita è agevolata dalla ormai consolidata presenza, quali membri delle commissioni, di ufficiali della Guardia di Finanza e di funzionari amministrativi contabili.
    Altri aspetti che vengono trattati diffusamente sono, ovviamente, quelli connessi a vicende giudiziarie nelle quali è emersa la condizionabilità dell’ente o la sua soggezione alla criminalità organizzata. Questi elementi vengono resi disponibili previa richiesta alla Magistratura di atti relativi ad inchieste giudiziarie, con il relativo nulla osta all’utilizzo.
    Dall’analisi delle diverse relazioni è immediatamente visibile come alcune riprendano quasi integralmente lo schema seguito dalle Forze dell’ordine. Tuttavia, come si è accennato, a cambiare sostanzialmente sono i contenuti ed il livello di dettaglio delle informazioni. Spesso le commissioni di accesso dedicano capitoli autonomi all’analisi approfondita di singole vicende (esposti, gare d’appalto, progetti specifici, delibere o altro) che assumono un peso determinante o comunque rilevante nel rappresentare la situazione di infiltrazione o condizionamento.

    Prospettive de jure condendo
    Vi è una schema di legge approvato ad agosto dal Consiglio dei ministri che prevede il rafforzamento delle norme sullo scioglimento dei comuni mediante i seguenti indirizzi:
    • incandidabilità per amministratori responsabili per cui viene prevista la durata di sei anni
    • allargamento del novero degli enti presso i quali possono essere effettuati i controlli alle società partecipate o ai consorzi pubblici anche a partecipazione privata
    • introduzione del ricorso alla mobilità obbligatoria presso altri enti o al licenziamento del dipendente per i casi più gravi
    • professionalizzazione dell’attività di gestione commissariale attraverso il coinvolgimento di persone in possesso di specifiche esperienza in materia, anche per una gestione più manageriale
    • creazione di un nucleo di funzionari della carriera prefettizia destinata alle funzione di commissario straordinario.
    Nell’ambito del dibattito parlamentare in tema di scioglimenti degli ultimi anni tra le predette proposte, quella più significativa riguarda l’istituzione di un apposito albo dei commissari straordinari. Ciò faciliterebbe la loro professionalizzazione e la creazione di una identità più definita del loro ruolo, con conseguente affermazione di prassi e conoscenze condivise. Per coloro che faranno parte di questo albo, composto non soltanto da appartenenti alla Pubblica amministrazione, si dovrebbe prevedere una formazione specifica e continua, anche al di fuori delle tradizionali competenze giuridiche e contabili. Adeguati incentivi economici e di carriera potrebbero motivare le persone più preparate e adatte a svolgere le funzioni di commissario straordinario a chiedere di essere inserite nell’apposito albo. La circostanza che, con frequenza crescente, gli enti locali fanno ricorso ai modelli societari privatistici comporta la possibilità di eludere la normativa sullo scioglimento, dal momento che l´articolo 146 del Testo unico degli enti locali fa riferimento alle sole aziende speciali.
    È dunque necessario estendere l´ambito di applicazione a tali imprese che gestiscono i servizi pubblici locali (come i rifiuti e l´energia). Si tratta delle società miste (a capitale pubblico e privato) e in house (in cui l´ente locale detiene l´intera partecipazione). Del resto, la gestione di tali servizi rappresenta un´attività di dimensioni economiche assai rilevanti, nella quale la criminalità ha interesse a intervenire. L´estensione della normativa dovrebbe riguardare tutte le società a partecipazione pubblica, in specie quelle in house che possono beneficiare dell´affidamento diretto, senza il ricorso a procedure a evidenza pubblica. Altrimenti vi è il rischio concreto che, attraverso questa via, gli interessi mafiosi continuino a essere salvaguardati nonostante lo scioglimento del Consiglio dell´ente.

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