Cari sindaci, in carica e in scadenza, e cari ex ed aspiranti,

sappiamo quanto sia difficile farlo, ma per passare alla storia, per essere ricordati, per lasciare un seme alla terra, è necessario rischiare.

Ed è necessario rischiare la cosa più cara che avete, inutile girarci attorno. Quel nastro che fremete di indossare nelle sfilate pubbliche, quasi fosse un bardo per cavalli, e che vi rende primi tra gli ultimi, è niente più che una bandiera.

Libertà, democrazia, giustizia. E anni di storia sbagliata e di sangue sparso, di guerre e di strade tortuose percorse per arrivarci.

Se fossimo stati sindaci in questi anni avremmo preso la mappa dei vostri Comuni e avremmo segnato con la matita rossa i contorni del territorio, cercando di capire quante strade, quante piazze, quante spiagge, quanti boschi, quante opere e quante chiese, quanti chilometri quadrati. Ci saremmo sentiti dolcemente prigionieri del confine, estendendo il concetto di casa esattamente ad esso.

Poi avremmo valutato lo stato delle cose, quindi le possibilità, quindi le priorità.

Se fossimo stati sindaci dei vostri Comuni avremmo chiesto all’anagrafe l’elenco dei cittadini. Perché a prescindere dai voti tutti dovrebbero essere rappresentati: professionisti, contadini, preti, carcerati e bambini. Lavorando a tempo pieno e sentendoci responsabili per ogni assenza, e in ansia per tutto ciò che avremmo potuto dare alla comunità: bandi europei, richieste di finanziamento in Regione o in Città metropolitana.

Avremmo studiato le carte.

Invece siamo qua, attorniati dagli ultimi come noi, a guardare impotente i post di facebook in cui fate bella mostra di politici e consiglieri regionali. Che, nel frattempo, fanno bella mostra di voi, per commuovere i grandi capi sulla loro disponibilità di camminare fianco a fianco ai poveracci. Lasciando intendere quanto siano buoni a tollerarvi, quanto siano disponibili, quanto siano dediti alla missione, quanto proseliti abbiano attorno. Quanti voti!

Come criceti, correte dentro un’assurda ruota inchiodata alla gabbia, per restare sempre, tristemente, nello stesso punto.

Ma c’è qualcosa di più triste ancora: le manifestazioni di solidarietà.

Commoventi comunicati – che non vedete l’ora di inviare per primi – su incendi dolosi dubbi, lettere minatorie dubbie, persone estinte certe. A cui segue la solidarietà fisica: sit-in, convegni, fiaccolate, e quant’altro attiri giornalisti e telecamere; e ancora fisici sorrisi, strette di mano, sguardi persi nella solennità del momento e carichi di lacrime.

Di credibile vi resta solo lei, impregnata di storia e di significato. Cimitero e culla della nostra gente. Ideale, e non bardo per cavalli.

E la verità? La verità è da tutt’altra parte. È nel tirare avanti, nonostante le accuse. E nel portare il pane a casa. Nel sopravvivere alle zone grigie come quelle della provincia; di San Luca, Africo, Platì, emblemi loro malgrado di società malate, si utilizza la notorietà per prove di forza da circensi. E di questi leoni ammaestrati si fa sentire il ruggito, per impressionare il pubblico, che dimentica sempre di essere al circo e non nella foresta. È un inganno.

Ci vuole coraggio per ingannare? Solo maestria, ed esperienza, o si rischia – come si è rischiato – di svelare il trucco agli spettatori.

Essere sindaci nel triangolo della morte così come a Reggio e in tutta la sua provincia vuol dire smontare le tende, e al posto del circo costruire una piazza, una fontana, una scuola, una chiesa, e far riunire la gente. Comprendere, e non imparare a memoria un giudizio già scritto.

Essere rivoluzionari, dividendo le aree per colori e, con esse, dividere tra vittime, vere, e carnefici, veri.

E ricordare che, nel triangolo così come nella vita, c’è molto più da salvare tra la “feccia” che non tra gli illibati curriculum di chi la feccia la crea, la usa e la gestisce.

Per la nostra Costituzione l’uomo andrebbe giudicato per il reato commesso, ma troppo spesso ciò dipende dalle latitudini. Ha del miracoloso come, giù da noi, le banalità divengano legge, inibendo col terrore ogni forma di libertà.

E siamo tutti pre-giudicati, prima che pregiudicati. E tutti condannati.

Ma voi, cari sindaci, continuate a sfilare come cavalli da parata.

Senza rendervi conto che quel tricolore, con orgoglio appuntato sul petto ma non nel cuore, avvolge il feretro della nostra democrazia.

E voi, custodi silenziosi e consenzienti, non siete altro che la bara del popolo.

Noi continueremo ad essere l’alternativa.

I candidati consiglieri e il candidato sindaco

Città metropolitana di Reggio Calabria

MoVimento 5 Stelle