Polsi tra sogno e realtà

Due fiumare, una piccola valle circondata da montagne spoglie e rocciose, uno sconnesso ponticello che metteva a dura prova il coraggio di chi s’azzardava a transitarvi sopra, una chiesa sempre troppo piccola per il numero dei fedeli ed un paio di casupole smozzicate e pericolanti. Tutto qui era Polsi. Eppure, questo sparuto insediamento che, povero, disagiato e di difficile accesso, non appare certo destinato ad un glorioso futuro, diventerà il maggior centro calabrese del culto mariano.
Qui, dove periodi diversi si sovrappongono e si mescolano, lasciando intravedere qua e là i segni delle loro caratteristiche e del continuo degrado, i secoli non hanno tempo, ma solo giorni eterni che si ripetono uguali da sempre.

Polsi è un luogo strano, magico, che da lontano ti sembra vicino nello spazio e da vicino ti sembra lontano nel tempo. Il pellegrino che vi si reca per la prima volta, appena dall’alto della montagna ne scorge il campanile e le case, s’illude di esservi già arrivato. Ed invece a poco a poco si accorge che di strada ce n’è da percorrere ancora parecchia. A chi vi giungeva, poi, in una delle piovose giornate di novembre, quando le vaganti nebbie autunnali sembravano aggrovigliarsi attorno all’antico campanile e volerlo nascondere agli occhi del mondo; e le prime mattiniere galline razzolavano negli spiazzi immalinconiti dall’agonizzante chiarore rossastro delle lampadine – che apparivano sospese a mezz’aria nel silenzio dell’ora – la Valle sembrava essere appena uscita fresca fresca dalle mani del Creatore.

E non era più una località, non era più una storia, ma una fascinosa sensazione indefinibile, eppure chiara nel cuore di chi la percepiva. Riaffiorava la stessa suggestione che ci attanagliava da bambini quando, dopo averla a lungo vagheggiata nei racconti dei grandi accanto al braciere, vi si arrivava per la prima volta. Ed è una commozione destinata a ripetersi nel tempo e di cui se ne percepirà la struggente eco per tutta la vita.

Polsi non può essere compresa ed ancor meno spiegata. Così come non è possibile spiegare e comprendere le sensazioni. Chi vi si reca con la pretesa di capire tutto è condannato a non capire mai niente del Santuario e dell’animo calabrese. E perfino quel niente lo capirà male.

Si può essere credenti o meno, praticanti o no, ma davanti a forme di devozione che non si riscontrano in nessun altro posto del mondo; al cospetto di una gioia che, concimata in precedenza dalla sofferenza, non vede l’ora di esplodere ai piedi della Madonna, non si riesce a restare indifferenti. E come tutto ciò possa accadere non c’è barba di studioso che sia in grado di spiegarcelo. E se insistesse, lo manderemmo via e pure a male parole perché i sogni, almeno quelli, non si toccano.

Mario Nirta

Pinocarellachannel.it