Nessun incandidabile a Platì. Nessun caso in contrasto con il codice di autoregolamentazione della commissione antimafia. Ma «questa non è una patente di onestà morale per nessuno», ammonisce il vicepresidente della commissione antimafia Claudio Fava. La conferenza stampa di oggi a palazzo San Macuto è stata chiara: la situazione è meno critica rispetto ad altri anni ma per questo non rosea. E il piccolo comune aspromontano, “abbandonato” in corsa dalla democrat Anna Rita Leonardi a 24 ore dalla presentazione delle liste, è l’esempio principe dell’allarme lanciato da Fava: le indagini della commissione, approfondite da rapporti di polizia e dalle indicazioni fornite dalle prefetture, fanno emergere «situazioni preoccupanti».

A Platì, dove ad essere candidati sono Ilaria Mittiga, figlia dell’ex sindaco la cui amministrazione è stata sciolta per infiltrazioni mafiose, e Rosario Sergi, nessuno dei candidati «è nelle condizioni di incompatibilità, nessuno viola i presupposti dei codici. Ma vi sono decine di sottoscrittori delle liste e candidati che hanno comprovati rapporti di amicizia, intimità e frequentazioni con la cosca di riferimento dei Barbaro e altre cosche».

«Il rischio – ha aggiunto Fava – è che ci troveremo in un Comune governato per interposta persona dalle cosche e che possa essere sciolto». Fava, dunque, nonostante i risultati ottimistici dell’analisi effettuata dalla commissione – “soltanto” 14 nomi in bilico su oltre 3mila candidati analizzati in 15 Comuni italiani – esclude che «stare nella griglia di compatibilità» eluda la possibilità che si possa «diventare sindaco per nome e per conto della cosca». Anzi: «Nelle periferie questo rischio è quasi una certezza».

Proprio oggi, poco prima della conferenza stampa, è stato confermato lo scioglimento dell’amministrazione di Badolato, che «rischiava di non andare al voto – ha spiegato Rosy Bindi – perché essendo stato assolto da concorso esterno, il sindaco aveva fatto ricorso per reinsediarsi dopo un anno di lavoro della commissione prefettizia». Un ricorso respinto, spiega la Bindi, «perché lo scioglimento è uno strumento di prevenzione e prescinde dalle inchieste penali. Ci sono evidenze che non hanno bisogno di prove: quell’amministrazione risultava comunque compromessa per infiltrazione negli uffici, negli appalti…».

Il lavoro della commissione ha messo in evidenza un’emergenza: quella di riformare la legge sugli scioglimenti per mafia e la legge Severino. Ma anche la legge elettorale, laddove non consente controlli effettivi, perché «non sono previsti». Un esempio: l’esame dell’autocertificazione da parte dei candidati è assolutamente formale. Tant’è vero che quelle prefetture che hanno verificato la veridicità delle autocertificazioni hanno dichiarato incandidabili 19 persone a Caserta e una a Catanzaro. «Queste persone, se elette, decadrebbero ma intanto hanno fatto campagna elettorale, hanno preso i voti, hanno contribuito a far vincere o a far perdere, quindi in qualche modo è stato drogato il risultato elettorale». Si è verificato in particolare a Battipaglia, con sette casi, ma c’è anche Scalea, con un candidato.

Le autocertificazioni mendaci sono state segnalate alle prefetture, chiedendo l’inoltro alle procure per falsa dichiarazione. La Bindi avanza dunque una riflessione-proposta: analizzando il caso Platì o quello San Luca è facile verificare come l’attuale legge sullo scioglimento abbia bisogno di alcune modifiche. «Perché la stessa legge non può valere per situazioni come Platì, dove il Comune è stato sciolto ben 15 volte e oggi si va a votare con due liste civiche formate da persone legate ad amministrazioni precedenti che hanno provocato lo scioglimento o situazioni come Joppolo, dove c’è una vicenda intricata tra scioglimenti, ricorsi e la situazione penale del sindaco e anche per Roma, capitale, con 3milioni di abitanti, o capoluoghi come Reggio Calabria».

Bisogna dunque chiedersi che tipo di commissariamento bisogna realizzare affinché lo stesso sia efficace e poi si possa tornare a votare. Serve una «terza via», soprattutto per i paesi dove le condizioni per lo scioglimento non sono chiare ma l’amministrazione non può comunque essere assolta. «Quelle comunità non possono essere lasciate da sole, è necessario che la politica venga affiancata da organi dello Stato perché spesso è l’apparato amministrativo che è compromesso. E non poter mandare a casa i dirigenti – ha sottolineato la presidente Bindi – significa consegnare quel Comune alle mafie». La terza via affida dunque allo Stato poteri specifici in ambiti come appalti, per i dirigenti degli uffici, insomma, in settori degni di osservazione. Cosa bisogna fare, dunque? Tipizzare i criteri per lo scioglimento, «perché sono troppo nebulosi». I casi evidenziati dalla commissione riguardano liste civiche, segno che in alcuni territori la politica ha battuto in ritirata. Ma per estirpare la mafia, ammonisce la Bindi, «ci vogliono forze politiche chiare che non fanno operazioni trasformiste». E cita il caso di un Comune in cui le tre famiglie di ‘ndrangheta di riferimento «hanno messo un candidato in ciascuna lista».

Simona Musco tratto da zoomsud.it

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