di Francesco Marrapodi
Esiste un confine invisibile in Calabria, quasi sacro, dove la musica diventa spirito, la cultura si fa oggetto e il tempo si arrende alla magia del momento. È un punto di rottura e di rinascita insieme, sottile come un soffio, potente come un’esplosione; e, quando si varca, lo spazio si piega, il presente si dissolve e l’anima – in questo caso della musica – si solleva leggera, vibrante, per volare oltre i limiti conosciuti dagli uomini. In questa dimensione sospesa, che ha il sapore dell’incanto e il ritmo della terra, impera un nome che incarna la voce più profonda della musica calabrese: Peppe Sapone, colui che ha trasformato la tradizione in rito, la memoria in fuoco. La muttetta-tarantellata di Sapone non è solo canto: è un richiamo ancestrale, una melodia che emerge dalle profondità del tempo come un canto di sirena tra i flutti della memoria. Un po’ troppo ribelle per essere domata e troppo grande per non essere elevata appunto alla grandezza. È insomma l’anima musicale della Calabria, la sua essenza più pura, sopravvissuta come brace sotto la cenere, pronta a divampare di nuovo. E infatti oggi, proprio quando sembrava stesse per scomparire, risorge con forza travolgente; questo grazie, come poco fa accennato, a uno dei suoi custodi più fedeli, interprete più appassionato: Peppe Sapone, il sovrano indiscusso di un patrimonio culturale che non smette d’incantare.