Occhiuto si dimette e subito i calabresi si ritrovano orfani e senza più sogni

di Francesco Marrapodi

Privare un popolo dei propri sogni è il peggiore dei delitti, e “meriterebbe” il peggiore dei castighi! E allora ci sarebbe da chiedersi: per quanto tempo ancora, noi calabresi, dobbiamo subire l’oltraggio di un meccanismo che “sembrerebbe” abbia come unico obbiettivo quello di impedire il decollo della nostra Regione?
È difficile crederlo, ma ogniqualvolta la situazione sembra incamminarsi nella giusta direzione, sopraggiunge un evento che ci ributta nel letamaio da cui siamo tanto faticosamente usciti. Si potrebbe persino pensare che esista un disegno preciso, una sorta di macchina demolitrice, volta a ostacolare sistematicamente ogni tentativo di rinascita. Perché quella che si era messa in moto era una forza nuova, capace di sfidare l’arretratezza e ricostruire la Calabria dalle fondamenta. Una forza che non demoliva, ma edificava: infrastrutture, servizi, speranza. Un governo che, per una volta, non parlava solo di cambiamento, ma lo realizzava. Eppure, proprio nel momento in cui questo cammino iniziava a consolidarsi, ecco che si riaffaccia il gelo. Un clima torbido, fatto di sospetti, procedure e timori paralizzanti. Fantasmi — non intesi come persone, ma come effetti, come ombre — che avvolgono ogni decisione, bloccano ogni firma, congelano ogni slancio.
Per quanto ancora dovrà resistere il popolo calabrese?
Le dimissioni del presidente Occhiuto, forzate da una situazione in cui l’attività amministrativa è stata resa di fatto impossibile, rappresentano un colpo durissimo. Non solo a un progetto politico, ma a un’intera comunità che aveva cominciato a intravedere una via d’uscita. E tanto era stato fatto. Sotto la guida del Presidente Roberto Occhiuto, la Calabria ha visto prendere forma opere attese da anni, se non da decenni:

la riforma della sanità e l’inizio di un processo di digitalizzazione del sistema sanitario,

il risanamento del ciclo dei rifiuti, con interventi concreti sulla raccolta e gli impianti,

l’ammodernamento delle infrastrutture di mobilità, comprese le tratte ferroviarie interne e gli aeroporti,

investimenti importanti per l’ampliamento della rete idrica e fognaria,

l’uso efficiente dei fondi europei attraverso piani urbani integrati,

la promozione di trasparenza e merito nella macchina amministrativa.

Un lavoro complesso, con molte sfide ancora aperte, ma che aveva già restituito dignità e progettualità a una terra troppo spesso dimenticata. Nessuno, ovviamente, è al di sopra delle regole. E le istituzioni di garanzia sono un cardine della nostra democrazia. Ma resta il fatto che, quando un’inchiesta — anche solo in fase preliminare — genera un blocco amministrativo totale e priva un’intera regione della continuità del governo, il danno non è più solo individuale. È collettivo. È il popolo a pagarne il prezzo. Quel popolo che da secoli viene relegato ai margini, trattato con sospetto, come se portasse sulle spalle un destino segnato. È inaccettabile che, ancora oggi, si possa spegnere una speranza collettiva senza che siano stati nemmeno accertati i fatti. Il presidente Occhiuto ha sottolineato con chiarezza come il clima attuale abbia generato una paralisi: “nessuno si assume la responsabilità di firmare nulla”. È il segno di un sistema che, pur nella sua intenzione di garantire legalità, rischia talvolta di ostacolare proprio ciò che è necessario per cambiare. Occhiuto non ha messo in discussione la legittimità delle indagini. Ma ha evidenziato — senza nomi e senza clamore — come, dietro certe manovre, si intravedano anche giochi politici. Forse dall’opposizione, forse anche più vicino. È lecito chiedersi: è accettabile che un’indagine ancora aperta possa diventare uno strumento per alterare gli equilibri democratici? In questo contesto, la scelta di dimettersi e ricandidarsi non è una fuga: è un atto di trasparenza. È un modo per riportare il giudizio lì dove davvero conta — tra i cittadini. Occhiuto chiede un mandato pieno, senza ombre, per poter continuare quel percorso iniziato, senza più ostacoli che non siano il giudizio del popolo stesso. Ma non bisogna assolutamente disperdere quanto costruito, per dare continuità a un’opera concreta e ambiziosa, per restituire ai calabresi non soltanto una voce, ma la possibilità — questa volta reale — di sognare in grande. Insomma una sua ricandidatura è necessaria per dare continuità al suo operato e per ridare al popolo calabrese ciò che ha sempre reclamato a gran voce: l’opportunità di riprendere a sognare.