L’aspetto della paralisi economica” collegata alla pandemia del coronavirus “può aprire alle mafie prospettive di espansione e arricchimento paragonabili ai ritmi di crescita che può offrire solo un contesto post-bellico“: è quanto emerge dalla Relazione Semestrale Dia, relativa al secondo semestre del 2019, che prevede “un doppio scenario. Un primo di breve periodo, in cui le organizzazioni mafiose tenderanno a consolidare sul territorio, specie nelle aree del Sud, il proprio consenso sociale, attraverso forme di assistenzialismo da capitalizzare nelle future competizioni elettorali. Un supporto che passerà anche attraverso l’elargizione di prestiti di denaro a titolari di attività commerciali di piccole-medie dimensioni, ossia a quel reticolo sociale e commerciale su cui si regge l’economia di molti centri urbani, con la prospettiva di fagocitare le imprese più deboli, facendole diventare strumento per riciclare e reimpiegare capitali illeciti“. “Un secondo scenario – prosegue la relazione – questa volta di medio-lungo periodo, in cui le mafie – specie la ‘ndrangheta – vorranno ancor più stressare il loro ruolo di player, affidabili ed efficaci anche su scala globale. L’economia internazionale avrà bisogno di liquidità ed in questo le cosche andranno a confrontarsi con i mercati, bisognosi di consistenti iniezioni finanziarie“.

Ad oggi ci sono 51 Enti locali sciolti per infiltrazioni mafiose, un numero che non è mai stato così alto dal 1991, anno di introduzione della normativa sullo scioglimento per mafia degli enti locali, riporta la Relazione semestrale della Dia al Parlamento.
Nel 2019 sono stati sciolti 20 consigli comunali e 2 Aziende sanitarie provinciali, che si sono aggiungi alle 29 amministrazioni ancora in fase di commissariamento. Dei 51 Enti, 25 sono in Calabria, 12 in Sicilia, 8 in Puglia, 5 in Campania e uno in Basilicata.
L’infiltrazione negli Enti locali “si conferma come irrinunciabile” per le organizzazioni criminali: perché attraverso i funzionari pubblici le cosche riescono a mettere le mani sulle risorse della pubblica amministrazione e perché consente loro di rendersi “irriconoscibili, di mimetizzare la loro natura mafiosa riuscendo addirittura a farsi ‘apprezzare’ per affidabilità imprenditoriale“.

Un’organizzazione “silente, ma molto attiva sul fronte affaristico imprenditoriale, sempre più leader dei grandi traffici internazionali di droga, quindi in costante ascesa per ricchezza e ‘prestigio’“: così viene descritta la ‘Ndrangheta nella relazione semestrale della DIA, secondo cui “l’affermazione criminale dei clan calabresi è da ricondurre, in prima battuta, ai vincoli tradizionalistici e familiari, che la rendono ben salda già dalla base, ossia dai legami di sangue, preservandosi in tal modo, quasi del tutto, dall’esposizione al rischio del pentitismo“. Proprio questo risulta tuttora “l’aspetto principale che pone la ‘ndrangheta quale interlocutore privilegiato per i più importanti gruppi criminali stranieri, in quanto partner affidabile per qualsivoglia affare transnazionale. I narcos sudamericani, in particolare, paiono apprezzare ormai da diversi decenni l’impermeabilià’ delle consorterie calabresi a forme di collaborazione con le istituzioni, che potrebbero compromettere l’immissione nei mercati delle ingenti produzioni di droga“. Tale capacità adattativa “ha permesso ai clan di acquisire sempre più segmenti di infiltrazione anche nel panorama politico ed istituzionale, conseguendo appalti e commesse pubbliche“. Proprio i rapporti con il mondo politico-imprenditoriale consentono alla ‘ndrangheta di “replicare i propri modelli di azione nelle altre regioni d’Italia e all’estero. Contesti, quest’ultimi, dove si sono, nel tempo, stabilmente insediati numerosi affiliati, incardinati in locali che, seppur dotati di una certa autonomia, continuano a dar conto al comando strategico” calabrese. Cosa nostra si conferma “un’organizzazione da sempre solidamente strutturata secondo articolazioni gerarchiche, ma al contempo in continua evoluzione e rispondente di volta in volta alle occasioni offerte dai mutamenti della società“. Un sistema criminale che ha “caratteristiche diverse anche all’interno della stessa regione: se in Sicilia occidentale, ad esempio, si conferma una strutturazione cristallizzata in mandamenti e famiglie, nella provincia di Agrigento continua a registrarsi una ‘zona’ permeabile anche all’influenza di un’altra organizzazione, la cosiddetta ‘stidda’, di più recente costituzione, che da clan dei pastori è riuscita ad elevare la propria statura criminale, fino a stabilire con le famiglie patti di reciproca convenienza e a penetrare il mondo della finanza“. In ogni caso, Cosa nostra si presenta ancora come “un’organizzazione unitaria e verticistica legata fortemente alle proprie radici territoriali, ma anche proiettata ben oltre i confini nazionali. La microcriminalità locale viene spesso impiegata come forma di manovalanza, garantendo in questo modo alle potenti famiglie sia il controllo del territorio, sia la ‘fidelizzazione’ dei piccoli sodalizi criminali, anche stranieri“. Le estorsioni, il “pizzo” e i traffici di droga continuano a rappresentare il core business ma “negli ultimi anni si è registrata la volontà e la capacità di infiltrare il settore, altamente remunerativo, dei giochi e delle scommesse legali, anche online“.
In Campania, “la criminalità organizzata di tipo mafioso si conferma un fenomeno in continua trasformazione, anche in ragione di un tessuto sociale molto complesso. Ci si trova di fronte non tanto, come potrebbe apparire, a una caotica e più o meno violenta miriade di gruppi in continua contrapposizione, quanto piuttosto a una sovrapposizione controllata e organizzata di livelli criminali: in quello superiore, trovano posto le storiche famiglie con una radicata incidenza nel tessuto sociale, pubblico ed economico; in quello inferiore si collocano gruppi meno strutturati a livello organizzativo e strategico, deputati al controllo delle attività illegali su piccole porzioni di territorio“. Storiche organizzazioni camorristiche hanno creato, nel tempo, “veri e propri apparati imprenditoriali, capaci di influenzare ampi settori dell’economia, locale e nazionale: giochi, ristorazione, compartoturistico-alberghiero, edilizia e rifiuti“. A Napoli e nell’hinterland, “i sodalizi più strutturati continuano ad operare tenendosi prudentemente lontani dai riflettori, traendo beneficio dall’azione criminale dei gruppi minori, cui viene relegato lo spaccio di droga, il racket sui piccoli esercizi commerciali e l’usura“. Mentre nel Casertano vanno assumendo un ruolo sempre più centrale “figure di imprenditori-camorristi riusciti ad inserirsi in appalti per la realizzazione di opere pubbliche, con la spinta di organizzazioni camorristiche e la complicita’ di amministratori pubblici, ma anche a monopolizzare la gestione di interi comparti produttivi“. In Puglia, infine, si è consolidato “uno scenario mafioso eterogeneo, connotato dall’azione di diverse organizzazioni (mafia foggiana, criminalità barese e sacra corona unita), ciascuna delle quali espressione di una particolare strategia criminale ed evolutiva“. A fronte di situazioni, tutto sommato di stallo, registrate nelle province di Bari, Lecce, Brindisi e Taranto, “la provincia di Foggia e’ risultata quella in cui, ancora una volta, il fenomeno mafioso ha manifestato le forme più acute di violenza e aggressività“: il che probabilmente nasce “dall’esigenza di ristabilire gli equilibri di forza da parte di quei gruppi maggiormente destabilizzati, sia sul piano operativo che decisionale, dai numerosi arresti e dalle violente faide interne che ne hanno decimato gli organici, i cui vuoti, peraltro, sono stati costantemente risanati dalle giovani leve