Di Francesco Marrapodi

C’è una terra dove il tempo sembra essersi fermato non per ammirare ma per decretare condanne. È la Locride, costa dei gelsomini, miraggio dimenticato del Sud Italia, sospesa tra agonia e oblio. Un tempo piccolo paradiso, oggi più simile a una navicella alla deriva nello spazio: le luci d’emergenza accese, i serbatoi in riserva, i passeggeri attaccati agli oblò con lo sguardo spento, perso nel vuoto dell’ingiustizia sociale. La verità è che davvero le sorgenti si sono quasi prosciugate, le braccia arrese, le voci spente.
L’economia? Una carcassa sbiadita al sole. L’edilizia si sgretola come pietra consunta, le istituzioni arrancano come giganti ciechi.

L’agricoltura si spegne in silenzio: il bergamotto – emblema di identità e orgoglio – è stato spazzato via da mani invisibili e da politiche incomprensibili. Gli enti preposti a garantire un minimo di stabilità – l’Ente Forestale, la Comunità Montana, il Consorzio di Bonifica – sopravvivono faticosamente, incapaci di sostituire chi va in pensione. Le campagne si svuotano, i campi incolti diventano testimonianze mute di un fallimento collettivo. Il risultato? Un futuro che non promette nulla di buono. I giovani partono, perché restare è morire moralmente e anche lentamente. Eppure la Locride non è solo un problema irrisolto nella mappa d’Italia. È 1366,60 km² di bellezza selvaggia, 121.877 anime sparse in 42 comuni, tra montagne maestose e spiagge cristalline, tra aria pura e paesaggi che somigliano a un eterno giardino di primavera. Insomma, la Locride ha tutto per essere un paradiso senza tempo. E allora perché permettere che il tumore dell’indifferenza e della disgregazione la consumi? Perché chi dovrebbe lottare per salvarla si rifugia dietro il silenzio, la burocrazia e le promesse vuote? Nel frattempo, il futuro se ne va. I giovani fuggono. Le famiglie si dissolvono. Le case si svuotano. E così ogni arrivederci diventa un colpo d’ascia, ogni treno che parte una sorta di funerale. La Locride muore, giorno dopo giorno, sotto lo sguardo indifferente di chi potrebbe agire. Ma questa non è solo una crisi: è un disastro annunciato. È una resa senza condizioni. È un’eclissi morale. E se nessuno alzerà la voce brandendo la parola come spada, sarà il vento a raccontare la storia di questa terra, tanto meravigliosa quanto abbandonata, sussurrando tra le rovine sistematiche della stessa.