LOCRI – La tragedia – l’ennesima – della baraccopoli di San Ferdinando (nella quale sono ammassati in condizioni disumane gli immigrati quasi esclusivamente impiegati nella raccolta delle arance), ha scatenato reazioni di cordoglio e sdegno, dopo che nella notte tra venerdì e sabato si è improvvisamente spenta la giovane vita di Moussa Ba, morto avvolto dalle fiamme accese per provare a riscaldarsi dalle temperature assai rigide e che, complice il forte vento, ha scatenato il terribile incendio ritratto nella foto dell’ANSA a corredo del pezzo.

Per fortuna, non se n’è discusso solo nei social network.

Nella messa vespertina di questa sera alla cattedrale di Santa Maria del Mastro in Locri, infatti, il parroco don Fabrizio Cotardo ha speso parole forti nella vibrante omelia. Dopo aver dato lettura del passo del Vangelo secondo Luca in cui vengono indicati come “Beati” i poveri, i diseredati, gli umiliati del mondo, il sacerdote pugliese ha esordito dicendo che “Non si può non rileggere queste parole del Vangelo alla luce di quanto accaduto l’altra notte a San Ferdinando, a due passi da noi. Non si può non interrogarsi – ha continuato don Fabrizio – sul modo in cui intendiamo il nostro essere cristiani. M’interrogo io che oggi, secondo la mia coscienza, non dovrei essere qua a celebrare messa, ma in mezzo agli ultimi della tendopoli di San Ferdinando. E voi?” – dice il sacerdote rivolgendosi ai fedeli.

“Mi piacerebbe – ha proseguito l’omelia – interrogare ognuno di voi per chiedervi perchè stasera siete qui. Mi auguro che non sia solo per obbedire a un precetto domenicale, perchè una chiesa senza carità non è una vera chiesa. Ho seguito i telegiornali, ho letto molto sulla vicenda del giovane immigrato morto nell’incendio della baraccopoli, e quando qualcuno della Polizia ha inteso scrivere per ricordare i suoi piccoli precedenti penali, non escludo che qualcuno avrà pensato che in fondo…poco male, è morto un altro delinquentello. Ebbene – il tono del sacerdote si è fatto più incalzante – se qualcuno di voi la pensa così, se davvero credete che in fondo la sua morte vale meno di quella di un altro, se non capite che se ha commesso qualche errore lo avrà fatto solo perchè spinto dalla fame, allora siete pregati di alzarvi e andarvene”.

Parole che toccano il cuore e scuotono le coscienze, quelle di don Fabrizio. E che suscitano qualche brusìo tra i banchi. Un chiacchiericcio che viene immediatamente spento dal parroco, che ricorda che “In questo momento vale solo la parola di Dio e a nessun altro è dato parlare”.

Non manca un richiamo sferzante al modo con cui s’interpreta la propria partecipazione alla comunità parrocchiale, specie quando don Fabrizio dice che “Spesso ci si scanna per avere un ruolo, che sia di direzione del coro della chiesa, dell’Agesci o dell’Azione Cattolica. Fosse per me abolirei tutti i ruoli, lasciando l’unica funzione che è propria dell’essere cristiano: la carità”.

Insomma, alla vigilia del viaggio che lo porterà in Terra Santa, laddove starà tutta la settimana “Anche – ha detto – per ritrovare lo spirito più autentico del mio essere cristiano che mi portò a seguire la mia vocazione” il giovane sacerdote pugliese ha invitato ancora una volta i presenti a praticare la carità e l’aiuto a chi sta male e vive situazioni di profondo disagio “Che sia un immigrato o una famiglia del posto tra le tante che vivono in condizioni disperate”, tralasciando gli orpelli e i pennacchi di una vita da chi, evidentemente, appartiene solo in maniera formale alla Chiesa.

“Quando Dio mi chiamerà a sé – ha concluso don Fabrizio – non mi chiederà quanti ricami dorati sono presenti nella “pezza” che indosso, ma quanti poveri e diseredati ho contribuito ad aiutare”.

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