Riparte da una nuova sezione della corte d’assise d’appello il processo per la morte di Salvatore Cordì, il boss di Locri freddato il 31 maggio 2005 a Siderno, che vede come unico imputato Michele Curciarello. Oggi il pg Adriana Fimiani ha chiesto l’acquisizione dei documenti del procedimento “Lettera morta”, dal quale ha preso le mosse il processo per l’omicidio dell’imprenditore sidernese Gianluca Congiusta – ucciso una settimana prima di Cordì -, con lo scopo di confermare le dichiarazioni del testimone di giustizia Domenico Oppedisano e dei collaboratori Domenico Novella e Bruno Piccolo – morto suicida -, nonché l’audizione di due testi di polizia giudiziaria per confermare gli orari di una perquisizione a casa Curciarello.

Richieste alle quali la difesa, rappresentata dagli avvocati Cosimo Albanese e Salvatore Staiano, si è opposta, «poiché non utili ai fini della decisione, in particolare la prima», ha commentato Albanese. Sulle richieste la corte scioglierà la riserva nel corso dell’udienza del 9 novembre. Curciarello è tornato in libertà proprio il 9 novembre del 2015, dopo l’annullamento con rinvio della condanna all’ergastolo disposto lo scorso 7 ottobre dalla Cassazione. I giudici della corte d’assise d’appello di Reggio Calabria hanno infatti accolto l’istanza presentata dai difensori di Curciarello e così hanno ordinato la scarcerazione dell’uomo per decorrenza dei termini di fase. Per lui, da quella data, è rimasto solo l’obbligo di firma. La Cassazione, ad ottobre scorso, ha invece assolto definitivamente gli altri tre imputati, ossia Antonio Martino, Antonio Panetta e Domenico Zucco.

Un agguato orribile quello che ha lasciato il boss Salvatore Cordì riverso per terra in via Cesare Battisti con una pallottola in faccia. Michele Curciarello per due gradi di giudizio è stato condannato come colui che sparò al capobastone; colui che il pomeriggio del 31 maggio del 2005, dopo essere arrivato a Siderno a bordo di una moto, indirizzò due colpi di fucile verso lo storico boss. Uno andò a vuoto, mentre il secondo colpì in testa Cordì che si accasciò sui gradini di un esercizio commerciale.

Dopo alcune ore, “u cinesi” morì all’ospedale di Locri e così, secondo la Dda, la cosca rivale, quella dei Cataldo, vendicava la morte di Giuseppe Cataldo, classe 1969, avvenuta il 15 febbraio dello stesso anno. Inoltre Curciarello avrebbe avuto anche un movente personale, perché uccidendo Cordì avrebbe rivendicato l’omicidio del cognato Pietro Caccamo, a sua volte fratellastro di Giuseppe Cataldo, ucciso secondo la ‘ndrina sempre dagli storici avversari. Quel delitto era l’ultimo capitolo di una sanguinosa faida iniziata nel 1967, a piazza mercato, a Locri, tra le cosche opposte dei Cordì e dei Cataldo.

Secondo due gradi di giudizio sarebbe stato Antonio Cataldo, alias “Papuzzella”, a ordinare l’omicidio per vendicare il suo morto ammazzato. Ma dopo un annullamento con rinvio in Cassazione, a marzo del 2013, “Papuzzella” venne assolto: non fu lui ad ordinare quell’omicidio, dicono i giudici, giudizio confermato anche dalla Cassazione. Una storia senza un finale, che secondo il collaboratore di giustizia Domenico Oppedisano, fratellastro di Salvatore Cordì, è finita invece con una pax mafiosa. I clan, ora, penserebbero solo a far soldi: «I Cataldo e i Cordì hanno siglato la pace – aveva affermato davanti ai magistrati – e si sono divisi il territorio». Ora c’è da capire se sia stato o meno Curciarello a sparare. Le motivazioni con le quali i giudici della Suprema corte hanno rispedito indietro gli atti parlano chiaro: «l’esistenza della faida e di un credibile movente – si legge nelle carte – non sono sufficienti a provare l’esecuzione del reato da parte di Curciarello Michele perché, come già affermato da questa corte nella sentenza sezione 1, sentenza numero 20531 del 2012, emessa sul ricorso di Cataldo Antonio, le dichiarazioni accusatorie sono dichiarazioni de relato caratterizzate da incertezza, quanto alla fonte e al contenuto che le rende di rilievo probatorio debole sotto il profilo dell’affidabilità. Le stesse infatti non fanno riferimento a fatti e circostanze direttamente percepite dagli informatori dei due collaboratori ovvero notizie apprese nell’ambito del sodalizio Cataldo ma esprimono quello che è il convincimento del gruppo colpito».

Siimona Musco tratto da zoomsud.it

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