R. e P.
L’Italia,diceva Flaiano,è il paese dove “la linea più breve fra due punti è l’arabesco”.Mai come in questo momento il paradosso di Flaiano è attuale e calzante.Non sono tra quelli che si appassionano a seguire i dialoghi telefonici che ammorbano la nostra comunità fingendo di volerla bonificare.Da sempre si sa che l’uomo è incline al commento,preferibilmente hard,se ne ricorre l’occasione.Non mi stupisce se gli interlocutori siano comuni mortali o prelati,ancora meno se si tratti di magistrati o ministri,in fondo siamo fatti della stessa materia.Che all’interno dei piani alti che popolano il”Terzo Potere”ci sia una zona franca dove commentare e complottare nessuno normodotato poteva non supporlo.Quindi umani pensieri sono più che scontati anche lungo le linee telefoniche dei palazzi di giustizia.Ciò che non deve però avere il sopravvento è il fumo sull’ arrosto.Gli italiani,tutti compresi corvi e congiurati,non perdono occasione per commemorare Falcone e Borsellino,dimentichi del fatto che a precedere i loro omicidi furono gli echi ed i veleni diffusi dai loro colleghi,dalla politica e da una parte di opinione pubblica vocata alla maldicenza.A questo gioco al massacro non ci sta più nessuno,soprattutto chi intuisce che la voglia di delegittimazione possa favorire scenari di caos istituzionale e sociale.Abbiamo la fortuna come calabresi di avere due uomini alla guida delle procure più ambite d’Italia,i due capi si sono palestrati presso il tribunale di Locri,battendo palmo a palmo e conoscendo il territorio,come pochi altri antropologi.Non può essere un Palamara di turno a sconfessare le loro storie ed i loro progetti di riscatto sociale e civile della intera Calabria.Conosco decine di magistrati (uomini e donne) che sono persone oneste e perbene non profittatori del sistema,sono altresì consapevole che ispirano il loro impegno ai modelli di Gratteri e Bombardieri.Ci sono pure coloro che del sistema Bellomo e Palamara ne sono fedeli interpreti ed indefessi seguaci,ma non c’entrano con la più grande e diversa battaglia che le procure di Reggio Calabria e Catanzaro hanno da tempo ingaggiato contro la criminalità organizzata,che soffoca e distrugge il futuro dei nostri figli.In questa regione,tutto diventa complicato.Essere magistrati-un mestiere difficile dovunque e da sempre-in Calabria diventa addirittura un’impresa eroica.Auspichiamo un pubblico abbraccio tra i due,così facendo ci saranno ancora e di più a sostenerli tutte le persone che hanno subito ingiustizia dalla criminalità organizzata e dalla politica corrotta,che attraverso il loro impegno vuole libertà e giustizia,ovunque.
Pino Mammoliti