di Francesco Marrapodi
Ci sono due Bovalino/Bagnara: una sepolta, l’altra mai partorita!
C’è una Calabria che non fa più notizia, perché raccontarla farebbe troppo rumore e troppo male. È la Calabria dell’attesa eterna, delle promesse svanite nel vento e dei cantieri che iniziano per non finire mai. È la Calabria che resiste nonostante tutto, ma che a forza di resistere si sta consumando. Ed è qui, nella Locride più autentica e dimenticata, che si consuma l’ennesimo sfregio alla dignità di un territorio.
Due nomi, una sola vergogna: Bovalino/Bagnara. Una strada che fu e una che non è mai stata. Una morta, l’altra mai nata. Come se la storia avesse deciso di giocare a dadi con il futuro di un intero popolo.
La prima Bovalino/Bagnara, inaugurata nel 1928 in epoca fascista, collegava lo Jonio al Tirreno attraverso un tracciato impervio ma vitale. Attraversava i polmoni dell’Aspromonte: Sant’Eufemia d’Aspromonte, Sinopoli, Cosoleto, Delianuova, Scido, Platì, Careri, Benestare… fino a Bovalino. Era la spina dorsale dell’entroterra. Ma oggi è un monumento all’abbandono: franata, chiusa, dimenticata. Una trappola per automobilisti, un campo minato di incuria e silenzio istituzionale.
E poi c’è la seconda, quella che doveva essere il grande riscatto. Un progetto strategico, finanziato a più riprese, inserito nei Piani di Sviluppo Regionali, oggetto di conferenze stampa, proclami elettorali, bandi europei. Risultato? Un aborto infrastrutturale. I lavori si sono fermati anni fa e da allora il cantiere è diventato il simbolo dell’Italia che promette e non mantiene. L’Italia delle opere “eterne incompiute”. L’Italia che qui, nella Locride, si fa tragedia.
Questo appello è soprattutto rivolto a chi dovrebbe rappresentare il popolo. A chi si è arreso alle piccole concessioni. E allora lo diciamo senza giri di parole: è tempo di alzarsi in piedi! Ai sindaci della fascia jonica e tirrenica: l’epoca delle attese è finita. Non servono più tavoli tecnici o lettere protocollate. Serve un fronte unito, politico e civile, che urli, pretenda, imponga. Perché la pazienza del popolo non è infinita. Perché mentre si parla, la Locride si svuota: i giovani partono, le scuole chiudono, i paesi muoiono. Siamo a un bivio – e questa volta non è metafora. O si combatte per avere ciò che ci spetta di diritto, o si accetta di sprofondare nel baratro del silenzio, con la rassegnazione di chi ha dimenticato cosa vuol dire essere cittadino.
E allora o si è complici del nulla o artefici del riscatto. Non c’è una via di mezzo! La Locride aspetta. Ma non aspetterà per sempre.