Non una semplice macchina, ma un compagno di fatica, di vita di molti calabresi.
Dal 1966, quando le sue prime ruote hanno solcato le strade calabresi, l’APE ha camminato al fianco dei contadini, degli artigiani, dei costruttori. Era lì, con la sua cassa robusta, a portare olive appena raccolte, cemento per le case in costruzione, vino dalle cantine, merci dai mercati. Era lì, con il suo rombo dolce e tenace, a svegliare i paesi all’alba e a riaccompagnare a casa i lavoratori al tramonto.
Non era elegante come le auto delle città, ma aveva un fascino vero, sincero – fatto di sudore, di determinazione, di orgoglio. I calabresi lo amavano perché non li tradiva mai. Se la strada era ripida, lui saliva. Se il carico era pesante, lui reggeva. Se la pioggia batteva, lui avanzava. Era il simbolo della loro resilienza, della loro capacità di trasformare ogni difficoltà in opportunità.
Era il mezzo dei piccoli imprenditori, dei padri che portavano a casa il pane, dei giovani che sognavano di costruire qualcosa di loro. Con l’APE, ogni famiglia aveva un futuro più vicino. Ogni progetto, anche il più umile, diventava possibile. Era l’alleato silenzioso che non chiedeva niente, se non un po’ d’olio.
Oggi, guardandolo, si vede più che un veicolo: si vede un’epoca.
L’APE non è morto. Vive nei ricordi, nelle fotografie sbiadite, nelle storie raccontate. Vive nei vecchi capannoni, nei cortili delle masserie, dove ancora qualche esemplare, un po’ arrugginito ma fiero, aspetta il suo turno, come un veterano che non vuole smettere di combattere.
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