Consiglio regionale
della Calabria
GARANTE REGIONALE DEI DIRITTI DELLE PERSONE DETENUTE
O PRIVATE DELLA LIBERTÀ PERSONALE

Comunicato stampa
LA STORIA DELLE DUE GIOVANI DONNE IRANIANE PRESUNTE SCAFISTE DETENUTE IN
CALABRIA. IL GARANTE MUGLIA: “ILLOGICITÀ ED ANOMALIE, FARE PIENA LUCE. NON SI
PUÒ CORRERE IL RISCHIO DI SCAMBIARE LE VITTIME PER CARNEFICI”

REGGIO CALABRIA, 05 MAGGIO 2024 – Il Garante regionale dei diritti delle persone detenute o private
della libertà personale, Luca Muglia, sta approfondendo la posizione e le condizioni delle due donne
iraniane recluse presso le carceri calabresi, accusate di favoreggiamento della immigrazione
clandestina. Nei mesi scorsi i nominativi delle due detenute erano stati resi noti da diversi media,
atteso il clamore destato dalle rispettive storie personali e dalle modalità che avevano determinato
l’applicazione della misura cautelare inframuraria. Si tratta di Maysoon Majidi, ristretta presso la
Casa circondariale di Castrovillari, e di Qaderi Maryam, ristretta presso la Casa circondariale di
Reggio Calabria. Il Garante regionale Muglia ha incontrato più volte Maysoon Majidi, unitamente al
Garante della Provincia di Cosenza Francesco Cosentini, riscontrando un progressivo calo di peso
della giovane, fortemente provata dalla detenzione e dal timore che non emerga in tempi rapidi
l’estraneità alle accuse che le vengono mosse. Quanto a Qaderi Maryam, le condizioni della stessa
sono state attenzionate dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà, Felice
Maurizio D’Ettore, in quanto la separazione dal figlio di anni 8, affidato temporaneamente alle cure
di una famiglia afghana in Comunità, avrebbe generato una serie di atti di autolesionismo ed eventi
critici. Alcuni chiarimenti sulle condizioni delle due donne sono già stati richiesti dal Garante
nazionale agli istituti penitenziari di Reggio Calabria e Castrovillari, seguiranno a breve ulteriori
approfondimenti in ragione della natura dei mandati conferiti al medesimo dalla normativa italiana
ed internazionale.

“La vicenda delle giovani donne iraniane detenute, accusate di essere scafiste nell’ambito di due
differenti procedimenti penali, preoccupa ed interroga non poco – ha affermato il Garante Muglia –.
Il mio Ufficio e quello del Garante nazionale si sono attivati sinergicamente per mettere in campo
tutti gli interventi necessari. Pur confidando nella magistratura, che farà certamente piena luce sulle
questioni in corso di accertamento, non ci si può astenere dal segnalare illogicità ed anomalie. In
entrambi i casi, infatti, si tratta di donne con storie particolari alle spalle che hanno corrisposto
ingenti somme di denaro per allontanarsi dal paese di origine, temendo per la propria incolumità.
Maysoon Majidi è una nota regista ed attivista curda per i diritti umani che si è vista costretta a
fuggire, unitamente al fratello, prima dall’Iran e poi dal Kurdistan iracheno a causa delle sue attività
di protesta antigovernative che ne avevano messo in pericolo la stessa vita. Qaderi Maryam, fuggita
con il figlio dall’Iran per sottrarsi ad una situazione drammatica, nel corso del viaggio dalla Turchia
a bordo di una barca a vela sarebbe stata oggetto di un tentativo di violenza sessuale da parte degli
stessi tre uomini che, all’arrivo in Italia, l’hanno accusata di essere una scafista. L’atipicità della
storia che accomuna le due donne è data dalle difficoltà linguistiche e dalla circostanza che quasi
tutti i migranti che si trovavano sulle rispettive barche si sono allontanati dal territorio italiano senza
essere sentiti. Il quadro delineatosi – ha concluso il Garante Muglia – conferma la necessità che la
repressione del favoreggiamento dell’immigrazione clandestina si avvalga di modalità diverse in
grado di accertare con maggiore puntualità e rigore l’individuazione delle responsabilità. Sarebbe
necessario introdurre l’impiego di nuclei investigativi specializzati, l’utilizzo delle tecnologie più
avanzate, la cristalizzazione degli elementi di prova nell’immediatezza dello sbarco e garantire
l’effettività del diritto di difesa. Non si può correre il rischio che si scambino le vittime per carnefici”.