di Francesco Marrapodi
Secondo gli esperti, sulla Locride incombe un autunno che si preannuncia tra i più aridi e poveri di pioggia di sempre. Già lo scorso anno la stagione aveva mostrato il suo volto anomalo: pochi giorni di pioggia, caduti nei momenti meno utili, e un territorio che ne ha pagato le conseguenze. Le campagne hanno sofferto, la produzione di uva è stata un disastro, e le piante di ulivo e di bergamotto — fiore all’occhiello dell’economia locale — hanno patito duramente.
Il bergamotto, in particolare, ha dovuto affrontare anche un drastico calo dei prezzi, che ha lasciato interi frutti marcire sugli alberi: simbolo amaro di un equilibrio ormai spezzato.
Quest’anno, le previsioni non lasciano spazio all’ottimismo. Gli esperti parlano di un autunno ancora più secco, e si sa: quando in Calabria manca la pioggia d’autunno, l’inverno non promette certo meglio. Una prospettiva che pesa come un macigno su un territorio che vive grazie all’acqua, linfa vitale per le aziende agricole già messe a dura prova da altri fattori.
Tutto lascia pensare che stiamo entrando davvero in un’epoca nuova, segnata da una crescente scarsità idrica e da un clima che cambia, inesorabile. L’effetto serra non è più un concetto astratto: è la realtà che, goccia dopo goccia mancata, sta riscrivendo il destino della nostra terra.
E se un tempo l’autunno in Locride profumava di mosto e di terra bagnata, oggi lascia nell’aria solo polvere e silenzio. Ma forse proprio da questo silenzio può nascere la sfida più grande: imparare a custodire l’acqua come si custodisce una preghiera, reinventare il nostro rapporto con la natura, e riscoprire, nel cuore arido delle stagioni, la voce di una terra che non chiede altro che essere ascoltata — prima che sia lei, un giorno, a smettere di parlare.

