Stamattina un amico mi ha inviato un pensiero: La vita è quella cosa che inizia dopo che hai preso il caffè.
Per caso l’ho letto proprio mentre stavo facendo colazione e, coincidenza ulteriore, mentre -in una di quelle trasmissioni televisive che certificano che lo tsunami nelle Filippine nel 2004 c’è stato per colpa dell’attuale governo Meloni- dicevano che un cinquantatreenne trapanese di nome Emanuele era stato rinominato Emanuela per sentenza emessa dal tribunale di quella città.
In pratica, la nuova signora ha ottenuto dopo vent’anni di dibattimenti nelle aule giudiziarie il riconoscimento della società al suo sentirsi donna sin dall’infanzia pur senza -e qui perdo il filo- sottoporsi a terapie ormonali né, tantomeno, a interventi chirurgici.

La sentenza, dicono gli esperti, in punta di Diritto non fa una grinza.
Nessuno può imporre ad un individuo trattamenti medici ai quali egli non voglia sottoporsi.
E Emanuala non vuole.
Ergo, in virtù di questa legge del 1982 e di successive modifiche, da ieri, per chi non lo sapesse (e non si capisce in che modo potrebbe venire a saperlo a meno di non essere un vicino di casa guardone o un parente più che prossimo) circola per Trapani un signore che, de iure, è una signora.
Con tutte le implicazioni che il fatto comporta.
Per inciso, ci sarebbe da capire perché sia illecito imporre trattamenti sanitari non richiesti e, stranezza, sia lecito impedire l’eutanasia a coloro i quali vorrebbero farvi ricorso.
Ma questa è un’altra storia.

Tornando alla signora Emanuela, come sottolineato nella trasmissione, uno dei primi problemi che dovrà affrontare è quello dei servizi igienici: trovandosi in un locale pubblico, andrà in quello degli uomini, continuando ella ad essere fornita di tutte le appendici caratteristiche dei fruitori di quel locale, o in quello delle donne dove immaginiamo tutti i problemi che causerebbe?
Cosa farà?
A ogni strepito della dama di turno tirerà fuori il documento di identità tralasciando di sorreggere, nella fretta, il, lo . . ., (insomma, avete capito cosa)?
Anni fa in Parlamento questa questione fu sollevata da Vladimir Luxuria la quale propose la creazione di un terzo bagno che non si fece perché quella legislatura terminò anzi tempo.
Ma, fino a quando non si arriverà a tanto e fino a quando non le cambieranno l’indicazione del sesso sulla carta di identità, per Emanuela non sarà un bel vivere.
Ma nemmeno per chi gravita attorno a lei, che sia Trapani o Canicattì.
Se, un assatanato, per esempio, ignaro del suo mutato stato anagrafico, sul bus, le tastasse le parti nobili (A e/o B) che tipo di molestia sarebbe, ammesso che ci sia differenza tra toccare il sedere a un uomo o a una donna?
Lei lamenta il disagio di quella volta in cui, ricoverata in ospedale, le fu assegnato un posto nel reparto uomini.
Come non capirla?!
Ma anche, come non capire il disagio degli infermieri di fronte al dilemma se portarle il pappagallo o la padella?
Un bel guaio, c’è poco da scherzare.
Va bene la questione di principio, va bene tutto quello che vuole, signora mia, ma dia retta: lei ha cinquantatre anni e dovrebbe sapere che certe “dotazioni” mascoline a scadenza più o meno breve mostrano la corda, perdono, come dire?, baldanzosità per natura.

Perciò, non dico di sottoporsi all’eradicazione che è, comunque, un fatto traumatico -in fondo, anche se, a tutti gli effetti, non vale il nome che porta, è sempre qualcosa di proprio alla quale ci si affeziona e per la quale potrebbe insorgere la sindrome dell’arto (esagero) fantasma ma, almeno, le cure ormonali le faccia.
Le cresceranno due belle tette e avrà dei vantaggi, mi creda, come nell’essere anziani.
L’altro giorno a Roma su un bus pieno come un uovo una ragazza si è alzata per cedermi il posto.
Le ho detto, fintamente risentito: -Come si permette?-
Ma ho capito in quel momento che in ogni cosa c’è del buono.
I miei omaggi, signora, piccoli ma sinceri.

Sergio Salomone