Kaulonia Tarantella festival I serata

A Caulonia, la Tarantella non è solo musica. È un’identità. Un’attesa lunga un anno che si scioglie in quattro giorni di festa, sudore e bellezza. È un attaccamento viscerale, nato 27 anni fa con la prima edizione del Festival e che, da allora, non ha mai smesso di battere forte. In questi giorni, il paese si trasforma, indossa l’abito buono, quello della festa, e si torna in piazza. Si rivedono le stesse facce di sempre, magari un po’ più segnate, con i capelli più bianchi,ma con lo stesso sorriso complice, mentre si ammazza l’attesa con una birra, una briscola, una partita a tre sette.
Il Festival si apre, come da tradizione, con la parte culturale, ospitata nell’elegante cornice dell’Affresco Bizantino, luogo che quest’anno farà da sede fissa agli incontri serali.
Il tema scelto per questa edizione è ambizioso e necessario: “Culture e Pace”.
Si parte con una lezione magistrale e, a tratti, un po’ lunga dedicata alla zampogna, strumento simbolo della musica tradizionale del Sud.
Poi arriva uno dei momenti più attesi della serata: l’intervista curata dalla giornalista RAI Anna La Rosa, che dialoga con Morgan sul valore della musica come strumento di pace.
Terminata la parentesi culturale, si accendono le luci del palco, e la lunga notte di musica prende il via sotto la direzione artistica di Morgan e Mimmo Cavallaro.
A rompere il silenzio è Manuela Cricelli, che regala al pubblico una perla di Rosa Balistreri, Cantù e Cuntu. L’atmosfera cambia, si scalda, si apre il sipario sul cuore pulsante del festival. Poi arriva Fabio Macagnino, e la piazza esplode.
Il cantautore di Focà di Caulonia, con il suo stile graffiante e consapevole,
è riuscito a trasformare la musica popolare calabrese in una musica “impegnata”,capace di parlare dei problemi della sua terra con poesia e verità.notevole il suo rifacimento di Catarinè, brano storico di Otello Profazio,trasformato in una ballata potente che racconta le tante piaghe della Calabria.
Per un’ora Fabio e la sua band, Movimento Terra, danno anima e corpo al palco.
La loro intesa è quasi surreale, e i ritmi forsennati si mescolano al blues più profondo,
trascinando la piazza in un vortice ipnotico. Il motore della serata è senza dubbio il grande Massimo Cusato, una forza della natura alle percussioni. Con Macagnino, l’intesa è immediata, palpabile.
La serata prosegue con i Cantori di Carpino, vecchie conoscenze del Festival e autentici custodi della tradizione garganica.
I loro suoni, le voci, gli strumenti, portano Caulonia in un’altra epoca, trasportano il pubblico in un viaggio dentro la storia musicale del Sud.
Sono maestri nell’emozionare, ma il programma iniziato in ritardo li costringe a un’esibizione ridotta. Scendono dal palco quasi di corsa,
lasciando un po’ d’amaro in bocca a chi avrebbe voluto ascoltarli più a lungo.
Ed eccoci al gran finale. C’è attesa, e un pizzico di mistero: cosa farà Morgan con la Calabria Orchestra?
Si parte con un altro omaggio a Rosa Balistreri, Mi votu e mi rivotu,
ma in una versione talmente rielaborata da risultare, per alcuni, quasi irriconoscibile.
Un’operazione artistica audace, forse troppo.
Perché ci sono brani come poesie che sembrano chiedere rispetto più che trasformazione.
Poi Morgan entra davvero. L’orchestra attacca le note de La canzone dell’amore perduto di Fabrizio De André, e nonostante un ingresso un po’ incerto, la piazza si lascia rapire. Si prosegue con Dolcenera, la ballata sull’alluvione genovese che, cantata in una terra che ha conosciuto tragedie simili, acquista un’intensità nuova, cruda, reale. L’esibizione appare inizialmente confusa, segno forse di prove mancate o di un’intesa ancora da costruire.
Ma poi Morgan trova il suo spazio con un brano più congeniale al suo stile, e la Calabria Orchestra e il maestro Checco Pallone prendono in mano la serata, guidando il pubblico verso la notte con
eleganza e forza. Il compito non era facile, ma è riuscito. E mentre gli ultimi accordi svaniscono,
il popolo del festival si incammina verso lo Sperone. Lì, ad aspettare tutti, c’è la magia dell’alba terzinata, la prima di quattro, in un festival che, ancora una volta, ha saputo ricordarci che la musica non è solo intrattenimento, ma memoria, lotta, emozione. A Caulonia, la Tarantella non è tradizione. È vita.

Pino Carella