Per vendicarsi dei torti e tradimenti subiti dai loro uomini, le donne della ‘ndrangheta, mamme e mogli ispiratrici di vendette sanguinose, protagoniste silenziose degli avvenimenti familiari, forse per la prima volta, diventarono collaboratrici della Legge. Per una sorta di rivolta delle casalinghe della mafia, il Procuratore della Repubblica di Palmi, Giuseppe Tuccio, poté ricostruire la storia di una banda di sequestratori. Vennero eseguiti nella notte trentasette Ordini di Cattura a Milano, Lodi, Monza, Savona, Brugherio e Oppido Mamertina. Dei tre sfuggiti alla cattura, due erano latitanti da tempo perché implicati in altri episodi criminali. La collaborazione dei familiari alle indagini, bollata come tradimento infame, segnò un cambiamento di costume tra le donne della ‘ndrangheta. La prima collaboratrice, moglie di un pregiudicato calabrese, che diede la svolta, era una settentrionale. La sua confessione, di donna umiliata e maltrattata dal marito, spinse altre a parlare, a fornire dettagli su alcuni sequestri di persona, a consentire lo smantellamento della cosca che in Piemonte riciclava denaro sporco, acquistando partite di droga o rimpiegandolo in maniera legale. L’accusa era di associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata a compiere sequestri di persona e, negli atti in possesso all’Ufficio di Procura esistevano certezze, la banda ne aveva commessi sette, con otto ostaggi: Pierangela Bombelli a Borgo San Giovanni in provincia di Milano; Fausta Rigoli e Rocco Lupini a Molochio in provincia di Reggio Calabria, Marco Padovani prelevato a Brentola nel Vicentino, Nicoletta Moretti a Bergamo, Stefano Pellegrino a Varapodio, Giuseppe Misiti a Cinquefrondi nel Reggino, Angela Mittica, figlia del sindaco DC di Oppido Mamertina provincia di Reggio Calabria. Per molti sequestrati, tutti portati in Aspromonte, sarebbe stata usata la stessa cella con gli stessi carcerieri. La dottoressa Rigoli, a proposito, raccontò di avere trovato, in un anfratto vicino la grotta in cui fu tenuta prigioniera col figlio, capi di biancheria intima, nascosta da Bombelli durante la sua prigionia. Altre coincidenze e altri particolari furono verificati in anni di indagini, a Messignadi, frazione di Oppido Mamertina, dove aveva base l’organizzazione, diramandosi in molti centri del Nord. Il capo, secondo le indagini, sarebbe stato Domenico Zumbo, 54 anni, rappresentante della componente calabrese. Zumbo apparteneva alla famiglia accusata del primo rapimento effettuato in Calabria, del possidente Ercole Versace avvenuto nel 1963. Al Nord, i punti di riferimento della banda erano Francesco Punteri, di Brugherio e Giuseppe Borzomì, imprenditore edile a Monza, entrambi arrestati nell’operazione congiunta condotta da Squadra Mobile e Carabinieri milanesi. Un coordinamento postumo di indagine su episodi criminosi, che non fu solo un assemblaggio di notizie, con la collaborazione di donne e familiari degli inquisiti, attraverso la rilettura attenta di tante carte e una serie di riscontri inconfutabili permisero di arrivare a sgominare la cosca. Risultò, il familiare di un sequestrato riconobbe due giovani rapitori che si erano presentati nella sua casa di Brentola, chiedendo momentanea ospitalità e qualificandosi come due pittori pronti a ritrarre la campagna circostante. Il volume di affari della cosca fu notevole. In base alle indagini, solo per la droga pesante, una componente della banda avrebbe investito da 4 a 5 miliardi di lire. Mentre, un’altra parte della cosca ottenne subappalti in Piemonte, lavori provenienti da commesse pubbliche di notevole importo.

Le indagini, concentrate nella ricerca della prigione di Angela Mittica, sulla cui sorte si nutrivano timori, permisero di liberarla dopo i 130 giorni passati in una grotta aspromontana, permettendo alla giovane studentessa di poter riabbracciare i familiari e i compaesani. Angela era gioiosa: “Ho voglia di lavarmi i capelli”, affermava come fosse un rito liberatorio, “voglio dimenticare e tornare alla mia vita”. L’avvocato Giuseppe Mittica, Sindaco DC del paese, la stringe al petto. L’Aspromonte, lussureggiante e tetro per le storie di mafia e le tragedie umane lì consumate, iniziava alle porte di Oppido Mamertina. In pochi chilometri, con stretti tornanti, la strada s’inerpicava e giungeva fino ai Piani dello Zillastro, al grande Crocefisso di Zervò, al Sanatorio, ai Piani di Junco (Comune di Delianova) dove, nella notte, una pattuglia dei Carabinieri intercettava i carcerieri mentre trasferivano l’ostaggio in un altro rifugio, Ingaggiando conflitto a fuoco e liberando la  studentessa universitaria, Angela Mittica di 25 anni, sequestrata a casa sua, quando si trovava assieme ad alcune amiche. Ci furono momenti di panico e di paura durante la sparatoria quando i quattro banditi, che erano con lei, preferirono fuggire. I militari lavorarono senza soste, senza dare tregua all’Anonima sequestri. Tredici le persone finite in carcere con l’accusa di aver partecipato al rapimento. Secondo il Procuratore della Repubblica Giuseppe Tuccio, agirono con tempestività e precisione, un lavoro investigativo svolto senza pause e senza tentennamenti. La giovane, in pantaloni e maglione, raccontò le paure di quando sentiva dire che le trattative erano interrotte; di quando le fecero scrivere una lettera in cui chiedevano l’enorme somma di due miliardi di riscatto. Prigioniera in una grotta, approvvigionata di indumenti e coperte, leggeva settimanali, mensili e libri (mai quotidiani); ascoltava la radio; parlava poco con i suoi custodi che erano sempre incappucciati. La mattina le portavano il thè, a pranzo pasti caldi, per cena mangiava pane e formaggio con salumi e insaccati vari. A Natale le fecero bere lo spumante. Per dormire un lettino, nel gelo, sempre nella stessa grotta. Aveva imparato a convivere con i topi, che tentavano di rubarle il formaggio, inseguendoli con un bastone, nonostante fosse legata con una catena lunga al piede. Ogni dieci giorni le portavano l’acqua calda per lavarsi, tranne i capelli, che non aveva mai lavati. Aveva chiesto ed ottenuto persino una pinzetta per curarsi le ciglia. Per Angela era andata e finita bene, per fortuna.

Cosimo Sframeli