Ma quanto sono infiltrate dalla criminalità organizzata le istituzioni calabresi? La risposta è nelle pieghe delle parole pronunciate dal procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri al microfono di Riccardo Iacona per la trasmissione di Raitre “Presa Diretta” andata in onda lunedì sera. Il magistrato che da 30 anni vive sotto scorta ha spiegato che «a Vibo Valentia la realtà è esattamente come quella della piana di Gioia Tauro, la ‘ndrangheta comanda e governa in senso lato,non solo mafiosamente parlando, con rapporti diretti con la politica ». La situazione non è diversa a Cosenza dove, parola di Gratteri, «c’è una ‘ndrangheta importante perché molto, molto collegata con la politica». A Crotone, infine, in serie A c’è finita non solo la squadra di calcio ma anche i clan che «hanno conquistato mezza Emilia Romagna». Fuor di metafora il procuratore in un passaggio è ancor più netto: «le cosche sono ormai classe dirigente». Anche il termine “zona grigia” ormai non sarebbe più sufficiente a descrivere la realtà: «Avvocati, medici professionisti, dirigenti che concorrono al disegno criminoso della ‘ndrangheta sono organici e funzionali all’organizzazione. Dobbiamo avere il coraggio di dire in modo netto e chiaro da quale parte stiamo». La silenziosa scalata al potere dei clan calabresi, secondo Gratteri, ha una data di inizio ben precisa. «È negli anni Settanta che la ‘ndrangheta inizia a utilizzare la cosiddetta “doppia affiliazione”: cosca e loggia massonica. Così gli affiliati sono entrati in contatto con i professionisti, gli avvocati e non solo. Un collaboratore ci ha rivelato che in alcune logge deviate c’erano tre incappucciati e tra questi anche dei magistrati. Questo ha consentito alle cosche di fare un salto di qualità. Non è solo vincere un appalto, ma addirittura decidere se l’opera deve essere costruita e dove deve essere realizzata. Così la ‘ndrangheta è entrata nella stanza dei bottoni». Eppure mentre la criminalità organizzata calabrese cresceva e si infiltrava, la trincea dello Stato era sempre più sguarnita. Con una Procura di Catanzaro, tra le distrettuali antimafia più grandi d’Italia come territorio di competenza, con vuoti cronici di organico. «Quando sono arrivato qua – ha spiegato Gratteri – la situazione era disastrosa, qui ogni sostituto ha 1100 fascicoli in carico, è evidente il 50% di questi fascicoli morirà in questo ufficio. La colpa è di chi al Ministero e Csm negli anni scorsi non ha provveduto. Quando mi sono insediato sono subito andato a Roma a chiedere aiuto a tutti ». E in effetti le prime risposte sembrano arrivare. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha deciso di aumentare la dotazione organica della Procura catanzarese che presto potrebbe trasferirsi nei nuovi uffici dell’ex ospedale militare. Inoltre anche i vertici delle forze dell’ordine stanno investendo su Gratteri e i suoi «meravigliosi colleghi», inviando a Catanzaro il meglio della polizia giudiziaria. Ma crede davvero, domanda Iacona al magistrato, che le faranno fare inchieste così delicate e importanti? «Ho la testa dura – replica Gratteri – e poi sono realista e oggi sono procuratore capo… non è una cosa da poco». Poi aggiunge, «il senso della paura l’ho vinto da tanti anni, con la morte ci ho discusso 30 anni fa». Insomma, sembra non avere nessun rimpianto per la carriera politica appena sfiorata tre anni fa. «Ero nell’elenco dei 16 ministri, avevo accettato perché mi era stato garantito che avrei avuto carta bianca. Mi è stato detto che Napolitano non ha voluto perché non c’è mai stato un magistrato ministro della Giustizia. Mi sarei anche potuto dimettere in quel momento da magistrato. La verità è che sono troppo indipendente. Mi soffoca l’idea di appartenere a qualcuno. Sono sempre stato troppo indipendente, rivoluzionario». E il potere invece preferisce investire su persone che siano in qualche modo controllabili: «È normale che chi gestisce il potere si preoccupi di me. Il potere vero vuole che ci sia sempre qualcuno sopra di te e che garantisca per te».
Gaetano Mazzuca (Cronache delle Calabrie)