I Fichi Fioroni “Agotti” Calabresi: “Ca Cammìseja Sciancàta” – Un Tesoro d’Estate del Sud.
In Calabria, tra gli ulivi secolari e il canto delle cicale, l’estate porta con sé uno dei frutti più simbolici e attesi: i fichi fioroni, chiamati in molte aree della regione “agotti”. A Gioiosa Ionica, e in altri borghi della Locride, questi frutti vengono affettuosamente chiamati “agotti ca cammìseja sciancàta”, ovvero “con la camicia strappata” — un’espressione che richiama il tipico strappo sulla buccia che si forma quando il fico è al massimo della maturazione.
Un Segno di Maturazione Perfetta
Come mostra l’immagine, i fichi agotti maturi sviluppano naturalmente uno spacco verticale sulla buccia. Questo fenomeno è un segno inequivocabile di elevata dolcezza e contenuto zuccherino, tanto che basta uno sguardo per capire che è il momento giusto per raccoglierli o gustarli appena colti.
In dialetto, si dice che “a cammìseja s’è sciancàta” – la camicia si è strappata – proprio per indicare che il frutto è così pieno, maturo e morbido da “rompersi da solo”.
Questi fichi si presentano grandi, con buccia scura violacea, e all’interno una polpa rossastra o rosata, cremosa e dolcissima. Hanno un profumo intenso, quasi vinoso, e un sapore che richiama miele, mosto e mandorla fresca.
Sono ottimi da mangiare al naturale, ma in Calabria vengono spesso anche: abbinati a formaggi piccanti (come il pecorino crotonese), utilizzati in confetture artigianali, o addirittura essiccati per l’inverno.
Il fico fiorone “agotto” con la “cammiseja sciancàta” non è solo un frutto: è parte dell’identità contadina calabrese. Ogni famiglia ha un albero preferito, ogni zona ha il suo dialetto per nominarli, ma il rispetto per questo frutto è universale. In un’epoca di prodotti standardizzati, i fichi agotti conservano l’imprevedibilità della natura, e il piacere di un gusto autentico.
Mangiare un fico “ca cammìseja sciancàta” è più che un semplice morso: è un ritorno alle radici, un ricordo d’infanzia, una dolce promessa d’estate.
I fichi calabresi non sono solo frutti: sono pezzi di memoria, cultura popolare e tradizioni contadine. Ecco alcuni aneddoti e curiosità che potresti trovare interessanti:
“U ficu non si rifiuta” – Il fico non si rifiuta mai
Nelle campagne calabresi, specialmente tra anziani e contadini, si diceva: “U ficu, puru si è ruttu, si mangia!”
Significa: anche se il fico è spaccato, un po’ sciupato, non si butta via. Anzi, spesso quelli con la cammìseja sciancàta (la buccia rotta) sono i più dolci. Questo detto esprime non solo il rispetto per il cibo, ma anche una filosofia di vita semplice e grata: niente si spreca, tutto ha valore.
Fichi e vespe: un’amicizia “pericolosa”
Chi ha mai raccolto fichi in Calabria sa bene che le vespe li adorano quanto noi. I vecchi raccontano che da bambini dovevano bussare leggermente al fico prima di coglierlo, per vedere se c’era dentro una vespa intenta a nutrirsi della polpa.
“’Na puntura e ti ricordi ‘u ficu tutta l’estate!”
Le giornate di essiccazione: una festa familiare
Durante agosto, molte famiglie calabresi mettevano i fichi a seccare al sole su cannicci (graticci di canne). I fichi venivano tagliati a metà, aperti a libro (“a crucchicedda”) e lasciati essiccare. C’era profumo di zucchero e sole ovunque. I bambini rubavano i più morbidi, e le nonne dicevano:
“Chiji su’ po’mbernu! Ne toccari!”
Ma naturalmente… ne sparivano sempre alcuni.
Il fico della sposa
In alcuni paesini della Locride, era usanza che la mamma della sposa preparasse una scorta di fichi secchi farciti con mandorle e scorza d’arancia, infilzati su uno spiedino di legno e avvolti in foglie di alloro. Si portavano nella nuova casa come simbolo di fertilità, dolcezza e abbondanza.
Si diceva che “u ficu è ‘nu fruttu sacru” — un frutto sacro — proprio per il suo legame con la terra e la famiglia.
Il detto ironico: “A ficara è ricca, ma sulu ppe l’attri”
Si diceva che l’albero di fico è generoso… ma mai per il suo padrone. Perché spesso chi coltiva fichi finisce per vederli mangiare da passanti, uccelli, o amici che “passano solo per salutare” proprio a fine luglio.
È un modo ironico per dire che la generosità calabrese è talmente grande… che a volte non resta niente per sé!
fonte e foto pagina fb GIOIOSA IONICA (RC)