Fabrizio Corona è stato aggredito nel bosco della droga di Rogoredo, dove si era recato con una troupe di “Non è l’Arena” per un servizio sullo spaccio. Picchiato e inseguito, ha rischiato di morire ammazzato

Fabrizio Corona è stato inseguito, picchiato e quasi ammazzato dagli spacciatori nel bosco della droga di Rogoredo, dove l’ex re dei paparazzi si era recato per un servizio sullo spaccio per “Non è l’Arena” dove sarebbe stato ospite domenica prossima.

Microfono nascosto, Fabrizio si è inoltrato con un complice in una delle zone più pericolosa dello spaccio milanese, ma ne è uscito con le ossa rotte

Ero con la troupe di una società che fornisce materiale per la trasmissione “Non è l’Arena” di Giletti. Volevo documentare lo spaccio di droga in un posto dove spesso le forze dell’ordine non entrano… Avevo una telecamera nascosta e insieme a un ragazzo mi sono addentrato nel bosco. In cima a una collina, ho trovato due persone, che si sono fatte subito avanti con fare minaccioso… Mi hanno riconosciuto, sia io che il ragazzo abbiamo rimediato dei pugni in faccia… I due hanno dato l’allarme e sono comparse dal nulla altre decine di persone, forse cinquanta, forse trenta… C’erano albanesi e nordafricani… Mi sono ritrovato un coltello puntato addosso… Mi hanno strappato il giubbotto e il maglione, hanno continuato a inseguirmi, sono caduto in un dirupo…

Come riporta il Corriere della Sera, “I carabinieri sono entrati e hanno trovato il 44enne senza maglia né giubbotto, sdraiato a terra, con una leggera ferita al volto. L’hanno accompagnato all’esterno e chiamato un’ambulanza, che ha rifiutato. Non è grave ma secondo la sua versione, che all’una di notte non aveva ancora voluto mettere a verbale, ha rischiato di morire ammazzato”.

Corona ha poi postato sul suo profilo Instagram la foto  di lui soccorso in ambulanza, e queste parole:

Stasera mi sono recato al Bosco di Rogoredo, patria nazionale dello spaccio italiano, dove anche la polizia si rifiuta di entrare. Mentre le uniche inchieste realizzate sono state fatte di giorno da giornalisti accompagnati da polizia di scorta a circondare la zona, Io mi sono recato lì solo con un operatore e un fonico per raccontare il parallelismo della mia tossicodipendenza e quella che colpisce l’Italia e la povera gente che vede uno stato inerme e una polizia disinteressata. Tutto questo solo per raccontare in maniera oggettiva, come ho sempre fatto, la realtà. Ora, in questo momento ringrazio Dio per aver protetto mio figlio Carlos Maria

Dilei HP