Di Francesco Marrapodi

“Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio…” cantilenava Lino Banfi nell’omonimo film del 1983, diventato ormai un cult della commedia italiana. Pure in “Chi si ferma è perduto” film in cui Totò, nei panni di Antonio Guardalavecchia, si circondava di ogni sorta di amuleto pur di proteggersi dallo sguardo iettatore del suo rivale Giuseppe Colabona, interpretato da Peppino De Filippo.

Ma la realtà è molto più seria e diversa di un film comico, e si cela e si documenta attraverso un filo sottile di quasi esoterismo che affascina e travolge. Ma cosa c’è di vero e quanto di credibile dietro tutto questo? Siamo solo nel campo della superstizione e del folklore, o esiste un fondo di verità, un’eco di arcana sapienza che affonda le sue radici in tempi remoti?
Il rito contro il malocchio – noto nella tradizione popolare calabrese come “sciumicari” – è una pratica antichissima, risalente, si dice, al cristianesimo primitivo. E, secondo la tradizione orale, questo potere può essere trasmesso solo per linea femminile, da una donna all’altra, e unicamente nella notte di Natale, quando il velo tra il visibile e l’invisibile si assottiglia. È infatti durante la Santa Notte, che la nuova aspirante guaritrice (la quale deve possedere una profonda fede e interessamento ai problemi del prossimo) dovrà imparare a memoria una serie di preghiere segrete, che costituiranno, poi, il cuore del rituale. Una volta imparato ciò, dopo aver fatto un po’ di pratica sotto la vigilanza della famigliare istruttrice, si è pronti ad assumere il ruolo di “sciumicatrici”.
Il cerimoniale di cacciata del malocchio si svolge con pochi, semplici oggetti: un piatto colmo d’acqua, un piccolo recipiente con dell’olio e un pizzico di sale. Una volta aver versato quattro pizzichi di sale a mò di croce nei quattro angoli del piatto, il piatto viene fatto ruotare lentamente sopra la testa della persona in precedenza colpita dal malefico occhio dello jettatore, mentre la guaritrice recita le preghiere apprese. Terminata la prima sequenza, si intinge un dito nell’olio e si lasciano cadere alcune gocce nell’acqua. Se queste si allargano formando un disegno simile a un occhio di bue o cadendo scompaiono, il responso è chiaro: il malocchio è presente. Il rito dovrà essere ripetuto finché le gocce, invece di formare un occhio, si dissolveranno frammentandosi nella normale forma di quando l’olio viene versato nell’ acqua, segno che la negatività è stata sciolta. È certamente un rituale che mescola religione, mito e psicologia, tra fede popolare e potere della suggestione. Ma funziona davvero? Forse sì, perché agisce su un piano più profondo, quello della mente e dello spirito. O forse perché, come molti credono, esistono davvero donne dotate di un dono tramandato da generazioni, capaci di vedere e scacciare l’invisibile. Comunque sia, anche questo aspetto per così dire tradizionale è un elemento chiave di ciò che, nel corso dei secoli, ha determinato e reso grande la nostra cultura.