di Consolato Minniti
ADDIO AD UN FEDELE SERVITORE DELLO STATO – Ieri sera, scrollando distrattamente la homepage di Facebook, ho appreso della prematura scomparsa di Gennaro Semeraro.
A molti miei contatti questo nome potrebbe dire poco, poiché Gennaro era una persona caratterialmente schiva, riservata, poco avvezza alle luci della ribalta.
Eppure, si tratta di uno dei migliori servitori dello Stato che abbia mai incontrato nella mia ormai discreta esperienza giornalistica e giudiziaria.
Gennaro Semeraro era un Poliziotto. E lo scrivo volutamente con la “P” maiuscola, perché credo che abbia incarnato quello che dovrebbe essere il prototipo dell’investigatore.
Se vi aspettate di trovare titoli roboanti, pagine di giornali che ne raccontino le gesta, probabilmente rimarrete delusi. Le cronache, su di lui, sono piuttosto scarne. E non perché non abbia conseguito risultati tangibili.
Semeraro era un fedele servitore dello Stato che aveva deciso di dare alla sua professione una direzione integerrima, unita ad un’umanità che raramente ho riscontrato. E si sa, quando impronti la tua carriera su valori non negoziabili, talvolta non raccogli quanto avresti meritato.
Ho incrociato la strada del dottor Semeraro nel periodo in cui è stato a capo della Squadra Mobile di Reggio Calabria, raccogliendone l’eredità da Renato Cortese. Un periodo delicatissimo, dove, probabilmente, chi lo ha designato sapeva di aver fatto la scelta più giusta possibile.
Semeraro è stato un esempio di equilibrio, garbo e professionalità. Ha usato toni sempre pacati, con uno sguardo rassicurante e mai accusatorio.
Quando è stato chiamato a svolgere il proprio dovere, l’ha fatto con rigore, senza tentennamenti e senza mai anche solo sognarsi di oltrepassare le linee rosse del rispetto della legge e delle persone. Anzi, aggiungo, anche senza mai avvicinarsi a linee di confine che nulla hanno a che vedere con il servizio alla collettività.
Tutto ciò, unito ad un interesse pressoché nullo verso beatificazioni, titoloni, narrazioni esaltanti, ne ha fatto un poliziotto silenzioso, dedito al lavoro.
Di lui mi rimarrà sempre impressa quella cifra di enorme umanità che sapeva donare anche quando molti altri avrebbero agito con superbia. Lui no, si fermava sempre un passo prima. Sorrideva e poi portava comunque a termine il proprio lavoro. Questo lo dissi pubblicamente molti anni fa e lo ripeto adesso che non è più con noi.
Credo, però, che per descriverlo non vi siano parole migliori di quelle utilizzate da uno dei poliziotti più capaci transitati dalla Questura di Reggio Calabria, Giuseppe Giliberti, che ieri ha sintetizzato così: “Ti dobbiamo quello che siamo”.
Se a dirlo sono gli uomini che hai avuto l’onore di coordinare, allora significa che la traccia che conta l’hai saputa lasciare eccome.
Qualcuno si domanderà perché io abbia deciso di scrivere queste righe per ricordare Gennaro Semeraro. La risposta è semplice: perché non troverete quasi nessuna notizia sulla sua morte. Ed invece, un fedele servitore dello Stato (e solo dello Stato) merita di essere ricordato pubblicamente, al pari di molti altri troppo spesso glorificati in maniera eccessiva.
Che la terra le sia lieve, caro dottor Semeraro. Io non dimentico.

