E’ stata pubblicata la Relazione sull’attività svolta e risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia nel 2024, presentata dal Ministro dell’Interno al Parlamento e relativa all’analisi sui fenomeni di criminalità organizzata di stampo mafioso.

In data odierna a Palazzo Grazioli, in Roma, il Direttore della DIA, Gen. C.A. G. di F., Michele Carbone, illustrerà agli organi di stampa la presente edizione che si connota per la significativa riduzione del gap temporale con il periodo di riferimento – in passato arrivato ad oltre un anno – per poter rendere disponibile un resoconto sull’andamento dell’azione antimafia “ravvicinato”, nonché relativo ad un arco diacronico maggiormente significativo, essendo adesso riferita all’intero 2024.

La struttura del documento, nel solco delle innovazioni introdotte con le più recenti versioni, è stata snellita ed impostata sulle matrici mafiose, con l’intento di descriverne l’operatività nel loro complesso, declinandone poi le presenze a livello territoriale, lo specifico modus operandi adottato nei vari contesti d’area e dando risalto alla descrizione delle azioni di contrasto di tutte le componenti del sistema antimafia.

Ciò si accompagna ad una rinnovata rappresentazione grafica della presenza del crimine organizzato, conseguente all’avvertita esigenza di rendere le dinamiche delinquenziali il più facilmente ed immediatamente intellegibili al lettore. Il contenuto testuale rimane invece incentrato sulla descrizione del “quadro di aggiornamento” rilevato nel torno temporale in esame, andando ad approfondire e dettagliare specificamente gli elementi di novità.

Infine, un’attenzione particolare è stata riservata anche alle risultanze tratte dalle interdittive antimafia emesse dalle Prefetture, unitamente ai più recenti istituti giuridici rivolti al reinserimento delle aziende “contaminate” nel circuito imprenditoriale sano, graduando così l’intervento nell’ottica di un giusto bilanciamento con le regole del libero mercato e dell’occupazione.

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L’evidenza è che i clan mafiosi hanno ormai infiltrato i contesti economici anche e soprattutto fuori dalle proprie regioni di origine e pertanto sarebbe anacronistico parlare ancora, ad esempio, di criminalità organizzata in Calabria, in Sicilia o in Campania quando invece bisogna più che mai abituarsi a considerare ndranghetaCosa nostra Camorra, aldilà dei confini locali, non trascurandone le proiezioni internazionali.

È questo il dato che mette in evidenza il capo della Dia, il Generale della Guardia di Finanza Michele Carbone, nella sua prefazione alla periodica relazione della Divisione Investigativa Antimafia, che ha analizzato in questo caso l’anno appena trascorso, il 2024.

Come spiega sempre Carbone, proprio per la prospettiva globale delle mafie, quest’ultimo resoconto è stato anche tradotto in varie lingue, per rendere maggiormente accessibile anche all’estero la portata dell’azione antimafia condotta dall’Italia, un modello di prevenzione cui anche gli altri Paesi mostrano sempre più di volersi ispirare.

Il che ha portato a coniare un termine anglosassone per definire anche le procedure repressive messe in campo dai singoli Stati: il mafia style.

Il “Follow the money”

Intanto, secondo la relazione c’è una ineludibile strategia investigativa che va osservata ed incarnata dal motto follow the money”.

Se è vero che il denaro rappresenta la principale risorsa utilizzata dalla criminalità organizzata per consolidare il potere e accrescere la propria influenza, allora esso costituisce anche un mezzo “da seguire” per individuare i veri responsabili delle condotte, beneficiari effettivi dei profitti dei reati.

Il tracciamento e l’analisi dei flussi finanziari rappresentano una metodologia centrale nel contrasto alle mafie, non solo nella sua dimensione repressiva ma anche in quella prevenzionale.

Per questo, un’attenzione particolare la relazione l’ha riservata anche alle risultanze tratte dalle interdittive antimafia emesse dalle Prefetture che, sotto questo profilo, presentano una sorta di fil rouge che lega tutto il documento.

La capacità di mutamento

Quanto alle cose “di casa nostra”, il documento delinea con chiarezza l’immagine di una ‘ndrangheta definita oggi come “proteiforme”, con riferimento al mito di Pròteo, la divinità marina della mitologia greca celebre per la sua capacità di mutare forma per sfuggire agli inseguitori.

La criminalità calabrese si distingue soprattutto per la sua pervicace vocazione affaristico‐imprenditoriale e per il ruolo di protagonista di rilievo nell’ambito del narcotraffico internazionale.

In effetti, rispetto ad altre mafie tradizionali, quella calabrese manifesta una versatilità tattica straordinaria, che le consente di adattarsi ai molteplici contesti in cui opera.

Attrae abilmente i propri interlocutori che spaziano dagli attori della politica locale agli operatori economici e imprenditoriali, prospettando un apparente ventaglio di opportunità e vantaggi immediati, per poi fagocitare e controllare tutti i settori in cui penetra.

Gli imprenditori consapevoli

In contesti socio‐economici caratterizzati da crisi, la ‘ndrangheta ha saputo intercettare, nel tempo, le misure di sostegno economico-finanziario varate da istituzioni europee e nazionalidiversificando i propri investimenti secondo una logica di massimizzazione dei profitti, in particolare nei settori maggiormente vulnerabili.

Le numerose inchieste giudiziarie in tal senso hanno infatti dimostrato che non sempre gli imprenditori che cadono nella rete della ‘ndrangheta siano vittime inconsapevoli, talvolta alcuni di questi operatori economici in difficoltà, pur essendo in qualche modo consci della presenza mafiosa, scelgono deliberatamente di non riconoscerla o di ignorarla.

L’azione preventiva e giudiziaria, condotta dalla Dia e dalle altre Forze di Polizia, ha offerto un quadro significativo sui tentativi di infiltrazione nell’economia legale globale.

I settori economici prediletti

In Calabria, in particolare, sono stati riscontrati condizionamenti nella maggior parte dei segmenti produttivi e commerciali, con impatti rilevanti nei settori edileortofrutticolo, dei giochi e delle scommesse online, dei servizi di pulizia, della grande distribuzione organizzata, del commercio di prodotti petroliferi, degli autotrasporti, del settore turistico e nella gestione della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti urbani.

Fuori dalla regione, in particolare nelle aree del Nord Italia, le inchieste hanno evidenziato invece tentativi di infiltrazione nei settori turistico‐alberghieroedile, della ristorazione, degli autotrasporti locali, del commercio di prodotti petroliferi e lubrificanti, nonché in quelli tecnologico, delle materie plastiche e nella gestione dell’intera filiera dei rifiuti.

L’infiltrazione negli appalti pubblici

Il monitoraggio delle attività imprenditoriali, svolto dai Gruppi interforze istituiti presso tutte le Prefetture italiane, al fine dell’emissione dei provvedimenti interdittivi o dell’iscrizione nelle white list, ha restituito un quadro analitico che evidenzia un’infiltrazione sempre più concreta e articolata della ‘ndrangheta nel settore degli appalti pubblici e nel rilascio di autorizzazioni, licenze e concessioni.

In un anno 208 otto interdittive

Nel periodo di riferimento sono state adottate almeno 208 interdittive antimafia, di cui oltre 138 emanate da Prefetture al di fuori della Calabria (alcune dei quali in aree d’origine di altre matrici criminali come Sicilia, Puglia, Campania, Lazio e Basilicata).

Misure che secondo la Dia testimoniano la marcata propensione delle cosche a infiltrarsi e a condizionare, in maniera preponderante, i settori agroalimentare, la produzione e il commercio all’ingrosso e al dettaglio di prodotti alimentari, l’edilizia, il turismo e la ristorazione, ma anche quello estrattivo e dei trasporti nelle province calabresi.

In ambito extra‐regionale, invece, l’intervento si concentra nei settori agricoloturistico‐ricettivo, della raccolta dei rifiuti, delle costruzioni edili, del trasporto merci, del commercio al dettaglio, della farmaceutica, della somministrazione di alimenti e bevande e del noleggio di autovetture.

La vulnerabilità delle aree depresse

La diffusione di fenomeni corruttivi in aree territoriali economicamente depresse facilita ulteriormente il condizionamento dei processi decisionali degli Enti locali, permettendo alle cosche di ricavare indebiti vantaggi non solo nell’accaparramento di fondi destinati a opere o servizi pubblici, ma anche nel piegare la gestione della cosa pubblica a proprio vantaggio, incidendo sulle elezioni comunali.

Recenti inchieste hanno evidenziato come lo scambio elettorale politico-mafioso per la ‘ndrangheta sia uno strumento in grado di garantire utilità a prescindere dai soggetti eletti poiché, mediante il sostegno a candidati di schieramenti diversi, in maniera diffusiva riescono a godere dell’appoggio trasversale all’interno dell’assemblea eletta.

L’autorità s’impone con la violenza

Pur facendo ampio ricorso a strategie di tipo collusivo e corruttivo per imporre la propria supremazia nei settori legali di interesse, la ‘ndrangheta non ha mai dismesso l’uso efferato della violenza, strumento imprescindibile per rimarcare l’autorità dei clan nei contesti territoriali locali.

La relazione spiega come la tracotanza dei clan si traduca, in taluni casi, in un beneficio ingiustificato di misure economiche a sostegno di categorie in difficoltà e in una costante pressione estorsiva ed usuraria nei confronti di commercianti e imprenditori locali.

Le relazioni con le altre mafie

La capacità di instaurare rapporti a scopi affaristico‐criminali si manifesta poi anche nelle relazioni intrattenute dalle consorterie ‘ndranghetiste con altre organizzazioni malavitose.

Le più recenti risultanze confermano infatti la tendenza delle cosche a instaurare collaborazioni utilitaristiche con clan di diversa matrice, giustificate prevalentemente da specifiche contingenze piuttosto che da una consolidata condivisione di interessi criminali, situazione che trova riscontro anche nei rapporti con compagini straniere, in particolare albanesi e sudamericane.

Per favorire l’espansione territoriale anche nelle regioni del Centro e del Nord Italia, le cosche di ‘ndrangheta hanno fatto leva sulla capacità di instaurare rapporti con clan appartenenti ad altre organizzazioni di diversa estrazione e origine.

Le origini non si dimenticano

Il fenomeno mafioso della ‘ndrangheta è orami consolidato e riconosciuto fuori dalla regione di origine in Italia e all’estero. Le più recenti indagini attestano l’operatività di almeno 48 locali di ‘ndrangheta tra il Centro e il Nord Italia, non solo insediando quelle realtà economico‐imprenditoriali, ma replicando anche i modelli mafiosi originari che si fondano sui valori identitari posti alla base delle loro strutture.

Le connotazioni tradizionali, risalenti alle origini della ‘ndrangheta, non sono mai state abbandonate e trovano il loro punto di riferimento nell’istituto del Crimine (o Provincia), organismo di vertice incaricato di definire le strategie, dirimere le controversie interne e decidere sulla soppressione o sulla costituzione di nuovi locali.

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