Il Coronavirus sta amplificando le disuguaglianze sociali, a confermarlo i dati Istat. Dopo il recupero dei dati sull’occupazione degli italiani fatto registrare a partire dall’estate con la fine del primo lockdown, dall’autunno la situazione è tornata a peggiorare a causa della seconda ondata di contagi e delle nuove chiusure imposte dal Dpcm. A dicembre, mese “scoppiettante” dal punto di vista lavorativo in tempi normali, gli occupati sono diminuiti di 101mila unità. Si tratta di numeri tragici, ma c’è un dato ancor più preoccupante: si è trattato infatti di un crollo quasi esclusivamente femminile, con 99mila donne che sono finite disoccupate o inattive. Un fenomeno che si ritrova, sebbene con numeri un po’ meno estremi, anche facendo riferimento all’interno anno 2020. Dei 444mila occupati in meno registrati in Italia in tutto il 2020, il 70% è costituito da donne.

La pandemia sta agendo in un contesto, italiano e globale, dove le disparità di genere nel mondo del lavoro erano una criticità già prima dell’emergenza sanitaria. Il gender pay gap mondiale, cioè la differenza tra il salario annuale medio percepito dalle donne e quello percepito dagli uomini, è intorno al 20%. In Italia il dato è mediamente più basso, ma questo non significa che il problema non esiste. Nel settore privato, per esempio, la disparità cresce in maniera netta, motivo per cui l’Italia continua a perdere posizioni nelle classifiche dei paesi che attuano la parità salariale. E l’anno appena trascorso ha aumentato tragicamente il distacco.

La domanda che molti potrebbero porsi è: “perché c’è un calo dell’occupazione nonostante il blocco dei licenziamenti?”. La risposta è semplicissima sta nel fatto che nel blocco dei licenziamenti non è contemplato il mancato rinnovo di contratto. Vi è una miopia di fondo nel modo in cui la pandemia è stata affrontata dal ministro del Lavoro Nunzia Catalfo. Il blocco dei licenziamenti, seppur sacrosanto, riguarda una parte della società, e ne esclude un’altra. La maggior parte dei titolari di un’impresa (soprattutto per quanto riguarda i lavori stagionali) non ha bisogno di licenziare dato che basta non rinnovare i contratti che sono a scadenze sempre più ravvicinate o, addirittura, nel caso delle partite iva, semplicemente smettere di chiamare per una prestazione lavorativa. Le disuguaglianze economiche, sociali e di genere preesistenti sono state accentuate dalla pandemia e nel lungo periodo potrebbero risultare molto più problematiche del virus stesso.

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