Chi , sulla scorta di luoghi comuni e stereotipe interpretazioni della Commedia , ritenesse Dante un conformista , potrebbe semplicemente soffermarsi sul canto III dell’Inferno per venirne sconfitto. Il canto ha la struttura tragica dei grandi temi esistenziali , ma offre anche il destro a Dante per affrontare un argomento che dovette essere dibattuto molto profondamente nel suo animo. La porta infernale suggella a caratteri cubitali un ingresso irreversibile , un percorso che non conosce ritorno. Le sua parole non ammettono equivoci : chi varca quella porta ha ormai preclusa in eterno ogni possibilità di salvezza . L’inferno è stato voluto dalla giustizia divina , ma anche dal primo amore , perchè non può esserci l’amore di Dio senza la giustizia , come non c’è la giustizia senza amore .

Dante è ormai nel regno delle tenebre e un clamore intenso lo percuote : l’atmosfera cupa e dolorosa gli impone di chiedere spiegazioni alla sua guida . E Virgilio, lapidario, gli presenta coloro che vissero senza nfamia e senza lodo . Il disprezzo del poeta latino verso questi dannati è totale e Dante lo condivide e lo sollecita . Gli ignavi spiccano nel panorama infernale come coloro che non sono degni di alcuna considerazione , perchè nella vita non presero mai posizione ma per se fuoro . L’anticonformismo dantesco sta nell’affermare con decisione , per se indirettamente , che chi pensa solo a se stesso nega le proprie ragioni di uomo . In quest’assunto c’è tutta la passione morale del cittadino che lotta per difendere i propri ideali , la consapevolezza che la politica spesso è gestita in termini utilitaristici e personalistici , la presa d’atto che il giusto non sempre trionfa nel sociale ma che , ciononostante all’uomo è richiesto di combattere per i propri valori . Dante pensa alla misera schiera di coloro che si facevano i fatti propri quando Firenze entrava in balia dei Neri e il candido priore , come il poeta è stato definito , veniva bloccato nella sua azione politica e poi esiliato . Riflette sul colpevole silenzio di coloro che vedevano e tacevano , che accettavano l’ingiustizia senza combatterla . La sua statura morale gli impedisce di chiamarli uomini perchè la dignità umana non compete a chi accetta compiacenti soluzioni di comodo. In questo modo Dante definisce l’ignavia come colpevole e vergognosa vigliaccheria , E, tra gli ignavi, Dante pone Celestino V , il papa che fece per viltade il gran rifiuto . Personaggio di indubbia dittatura morale , Celestino V e nondimeno un vile .Se le mene di palazzo gli impedivano di essere papa come avrebbe voluto , se gli impegni burocratici lo tenevano lontano dal suo eremo , questo non significava per Dante che egli avrebbe dovuto abdicare , lasciando la cristianità in balia dei papi corrotti . Celestino V è un ignavo , perchè non si è preso le proprie responsabilità , perchè l’amore per la tranquillità è stato più forte del dovere che Dio stesso gli aveva affidato , cioè quello di guidare la cristianità . Il messaggio di Dante è di indubbio spessore morale : il poeta consegna all’uomo di oggi il gusto dei propri ideali e il rifiuto della passiva accettazione di modelli conformistici e di comodo.

Professore Vincenzo Bruzzaniti