di Francesco Marrapodi
Nel breve ma intenso cammino della sua esistenza artistica, Rino Gaetano ha inciso un solco profondo e ancora sanguinante nella storia della musica italiana. Di certo non fu un cantore della rivoluzione proletaria, come molti hanno frettolosamente voluto etichettarlo. Rino Gaetano non si schierò con le correnti politiche del tempo. Lui era molto più moderatamente radicale, ovvero contro il sistema: quell’insensato egoismo che soffoca alla base l’individuo e il suo diritto a un’esistenza dignitosa.
Ma per comprendere davvero la portata del suo messaggio, bisogna scavare nelle radici più profonde della sua anima, quelle radici che affondano nella terra aspra e antica della Calabria. La sua musica nasce – è possibile – da una filosofia calabrese quasi ancestrale, fatta di resistenza, malinconia, ma anche di una verità brutale e incancellabile. È la filosofia di un popolo che ha imparato a convivere con la fatica, con la solitudine e con l’ingiustizia, e che nel canto ha trovato non solo conforto, ma un modo di vivere e pensare la realtà. La satira tagliente, l’ironia corrosiva, quel tono apparentemente leggero nascondono una riflessione filosofica che è quasi una necessità esistenziale, una sfida lanciata da una terra che non si arrende, che vuole riscattarsi attraverso la consapevolezza e l’impegno. Rino Gaetano porta con sé quella tensione calabrese: una tensione che non accetta compromessi, che non si piega davanti al potere, e che vede nella musica un atto rivoluzionario e insieme terapeutico.
Con la sua penna affilata, Rino non attaccava uomini o ideologie: attaccava il sistema nel suo complesso, quell’architettura di ipocrisie che schiaccia l’anima umana. Prima osservatore impietoso, poi veggente lucido, ha trasformato le sue canzoni in uno specchio rivolto al futuro — un futuro in cui la Calabria, e con essa tutta l’umanità, possa finalmente riappropriarsi della propria dignità.
Insomma, Rino Gaetano non è stato solo un cantautore, ma un profeta calabrese del riscatto umano, la cui musica è diventata un’esigenza quasi filosofica radicata nella sua terra, capace di scuotere le coscienze e di accendere la speranza in un mondo che troppo spesso vuole spegnere le voci scomode. Il suo canto è un grido che attraversa il tempo, un invito accorato a liberare il futuro dall’oppressione e dall’apatia, e a ricostruire, attraverso la musica e l’impegno collettivo, un’esistenza degna di essere vissuta.