Esattamente 40 anni fa con la sua “Ma quale idea” è stato in grado di vendere più di due milioni e mezzo di copie di dischi in Italia e più di 12 milioni nel mondo. Lui è Pino D’Angiò, una vera e propria icona pop degli anni ’80, che ha scelto di trascorrere in Calabria e nella Locride gran parte del suo tempo. L’artista di origini campane vive tra Roma e Caulonia, paese d’origine della moglie Maria Teresa. «Mi sopporta dal 1979» dice con tagliente ironia, diventata vero e proprio marchio di fabbrica della sua sconfinata produzione musicale, riconosciuta anche a livello internazionale con un Grammy nel 2001.

«Ma perché non ci dovrei stare in Calabria? – racconta D’Angiò – Ho sposato una calabrese e nel corso degli anni ho imparato a conoscere bene il territorio e le persone che lo popolano, e ho come l’impressione che voi calabresi la Calabria non la conoscete». Nel suo piccolo regno a due passi da piazza Mese ha allestito un mini studio di registrazione. «Sono un lupo solitario – dice avvolto nel fumo della sua sigaretta – qui per me è perfetto. Io ho bisogno di silenzio per lavorare, di pace e di tranquillità. Guardati in giro, non ci sta traffico. C’è una festa ogni tanto, ma dura massimo tre giorni. Con mia moglie – continua – ci siamo conosciuti a Milano ai tempi dell’università, quando ero semplicemente Giuseppe Chierchia, a mensa. Le feci sentire per la prima volta alla chitarra “Ma quale idea” e il suo commento fu: “Disgustosa”. Sto aspettando che me lo dica un’altra volta. Se è il primo rap italiano? Non proprio, prima di me Celentano scrisse Prisencolinensianciusol, poi venni io e, qualche anno dopo, Jovanotti».

Ironico e strafottente, anima jazz con doti da consumato entertainer, non ha problemi ad ammettere che oggi, per artisti come lui, sfondare sarebbe complicato. «Oggi per “Ma quale idea” mi accuserebbero di tutto – osserva – Il politically correct ha distrutto questo paese, perché impedisce ai talenti di venire fuori. Gente come Gaber, De Gregori, Battisti e Paolo Conte ai talent verrebbe scartata».

Ad impreziosire la sua carriera, anche una collaborazione con Mina. «Fu lei a chiamarmi perché voleva un brano scritto da me – afferma – quindi divertente e dissacrante, in un disco che era già troppo pieno di canzoni classiche d’amore. Lo confezionai apposta per lei, su misura. Si chiamava Ma chi è quello lì?, e fu un altro successo strepitoso. Lo incise in 5 minuti. Arrivò in sala, cantò una volta sola ed era quella buona. Mai vista una artista così grande».

Nonostante seri problemi di salute lo abbiano costretto a stare lontano dalle scene per diverso tempo, D’Angiò ha sempre continuato a fare quello che più ama. «Riesco anche a cantare senza corde vocali. Pensavo fosse finita – rivela – ma a Padova mi sono ritrovato ragazzini sotto al palco a chiedermi “Perdoni tenente”, un pezzo mai fatto ai concerti. Mentre la cantavo, loro riuscivano a ricordare il ritornello giusto, io lo avevo dimenticato. Questo mi ha fatto immensamente piacere. Giorni fa mi ha anche chiamato Franco126 chiedendomi di voler fare la cover di “Gente intelligente”. Il perché del mio successo? Non lo so nemmeno io, ma forse lo dice la parola stessa, participio passato del verbo succedere, è successo. Di certo conta tutto, e non sai mai quanto è fortuna e quanto è talento. Sottovalutato? Non penso di essermi meritato più di quello che ho fatto. Ho anche vinto un Grammy in America, che però non sono mai andato a ritirare».

La sua lunga permanenza in Calabria lo ha portato ad imbattersi nella cultura della musica popolare. «Qui conosco diversi musicisti dal talento incredibile – sostiene- ma in Puglia hanno avuto più visibilità perché lì la politica si è interessata di più alla cultura della regione. Non è il talento che manca ma lo spazio. Oggi cantano tutti, basta un microfono con autotune e un pc. Questo è un paese dove tutti cantano, ma nessuno ascolta, tutti scrivono, ma nessuno legge. Di certo – conclude D’Angiò – quelli che sanno davvero fare le cose sono pochi».

Ilario Balì Il reggino.it