Avviso di conclusione indagini per 10 persone indagate a vario titolo per bancarotta fraudolenta, in relazione al fallimento delle società “501 Hotel S.p.A”, “501 Hotel Gestione S.r.l.”, “Phoenices General Trade S.r.l.”, “Onda Verde Mare S.r.l.”, tutte facenti capo alla nota famiglia di imprenditori vibonesi dei Mancini.

I finanzieri di Vibo Valentia hanno infatti notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari emesso dalla Procura della Repubblica. Le indagini, dirette dal Procuratore della Repubblica, Camillo Falvo e dal Sostituto Procuratore, Concettina Iannazzo, sono state eseguite dalla Sezione di polizia giudiziaria e dal Nucleo di Polizia economico finanziaria di Vibo Valentia.

I finanzieri hanno esaminato le procedure concorsuali che nel corso degli anni si sono concluse con la dichiarazione di fallimento delle società che avevano gestito importanti strutture ricettive della provincia vibonese (Hotel 501 di Vibo Valentia, Lido degli Aranci di Vibo Valentia, Acquapark di Zambrone).

Gli approfondimenti hanno permesso di ricostruire una serie di operazioni societarie e finanziarie che hanno poi portato al dissesto delle società, mediante il drenaggio e la distrazione di ingenti risorse per un ammontare di 14.903.050 euro e la conseguente creazione di una massa fallimentare per un importo di 55.759.730 euro.

Per le Fiamme gialle le condotte avrebbero avuto un unico filo conduttore la gestione delle attività finalizzata al depauperamento delle risorse economiche, da parte dei deceduti cugini Giovanni Giuseppe Mancini, 86enne, e Saverio Mancini, 87enne, che per gli inquirenti sono gli imprenditori di “prima generazione” del gruppo societario e successivamente dai rispettivi figli che, insieme agli altri amministratori, avrebbero approfittato dell’omesso controllo da parte degli organi sociali preposti, e avrebbero poi portato al fallimento delle società.

Per gli investigatori, gli imprenditori, che hanno spesso ricoperto ruoli all’interno delle società, in situazioni di conflitto di interessi, avrebbero sottratto e drenato ingenti disponibilità finanziarie dalle società, in seguito fallite, cagionandone il dissesto, mediante una serie di operazioni, come: la mancata registrazione di corrispettivi relativi ad eventi e ricevimenti, che venivano pagati in nero, che non confluivano nelle casse sociali; ricorrenti prelevamenti in contanti dai conti correnti delle società privi di giustificazione; l’arbitraria distribuzione di utili ai soci in contrasto con le delibere assembleari.

Le indagini hanno poi permesso di dimostrare un costante prosciugamento delle risorse societarie mediante contratti di affitto di ramo di azienda a canoni non congrui o altri contratti anomali, stipulati esclusivamente al fine di documentare l’effettuazione di servizi che in realtà non venivano prestati.

Le scritture contabili delle società sarebbero state tenute con modalità tali da non rendere possibile o comunque ostacolare la corretta ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari. E’ stata anche accertata una responsabilità dei componenti del collegio sindacale, i quali avevano l’obbligo di vigilare affinché non si verificasse distrazione di risorse economiche da parte degli amministratori.

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