di Francesco Marrapodi
Mentre a Piazza Affari si festeggia il decimo anniversario della quotazione di Poste Italiane — il colosso pubblico-privato che da 8 miliardi di capitalizzazione nel 2015 è passato a oltre 26 miliardi di euro — in alcuni centri del Sud si consuma un dramma silenzioso: i cittadini non possono accedere ai propri risparmi.
Accade a Bianco, in provincia di Reggio Calabria, dove da oltre sei mesi il Postamat è fuori uso. Un paradosso che sfiora l’assurdo: nel 2025, in piena era digitale, un intero paese è costretto a vivere come se il bancomat non fosse mai esistito.
Già tre mesi fa avevamo segnalato il problema, raccogliendo le voci di cittadini costretti a veri e propri pellegrinaggi nei paesi della costa ionica per riuscire a prelevare qualche contante. Da allora, nulla è cambiato.
Il sindaco di Bianco, Giovanni Versace, ha scritto più volte alla Direzione generale di Poste Italiane, l’ultima lettera solo pochi giorni fa, chiedendo un intervento urgente.
Finora, però, nessuna risposta. Mentre i vertici dell’azienda si celebrano tra flash e applausi, Bianco resta prigioniera di un disservizio che rappresenta un’Italia a due velocità: quella dei profitti miliardari e quella dei diritti negati. Un cittadino che non può accedere ai propri risparmi, è un cittadino privato di un suo diritto. E questo accade mentre Poste si presenta come modello di efficienza e innovazione. Se anche questo appello dovesse cadere nel vuoto, una commissione popolare, costituita per l’occasione, è pronta a rivolgersi agli organi di vigilanza e a promuovere una campagna mediatica nazionale. Si valutano anche mobilitazioni pacifiche per chiedere il ripristino immediato del servizio. Perché quando il denaro dei cittadini finanzia un impero che li abbandona, la pazienza diventa una forma di legittima rivendicazione.


