Non serve per curare la malattia, ma per rallentare il processo. È quanto stabilito dll’ente americano Fda, che comunque ha chiesto un nuovo test clinico per la terapia messa a punto da Biogen, che ha le potenzialità per rallentare il decorso della malattia. La decisione della Fda è stata presa nonostante l’opposizione della commissione indipendente di esperti dell’agenzia e di altri esperti in materia di Alzheimer secondo i quali non ci sono prove sufficienti che dimostrino che il farmaco possa davvero aiutare i pazienti. La terapia consiste in una iniezione al mese per via endovenosa che contribuirebbe a rallentare il declino cognitivo dei pazienti che si trovano allo stadio iniziale della malattia. Si tratta del primo trattamento che interessa il decorso e non si limita ad aggredire i sintomi della demenza. “Siamo consapevoli dell’attenzione che circonda questa approvazione – ha affermato Patrizia Cavazzoni, che dirige il Center for Drug Evaluation and Research dell’Fda -. Sappiamo che la terapia ha generato l’attenzione della stampa, dei pazienti e di molti soggetti interessati”.

Attualmente, si legge sul sito del ministero della Salute, il numero totale dei pazienti con demenza è stimato in oltre 1 milione (di cui circa 600.000 con demenza di Alzheimer) e circa 3 milioni sono le persone direttamente o indirettamente coinvolte nella loro assistenza, con conseguenze anche sul piano economico e organizzativo. Il problema ovviamente non è solo italiano.

Ne abbiamo parlato con il dottor Eugenio Barone del Dipartimento di Scienze biochimiche A. Rossi Fanelli dell’Università Sapienza, coordinatore del progetto “Unravelling a novel mechanism favoring brain insulin resistance development”, selezionato e finanziato per la seconda volta dall’Alzheimer’s Association, fra le più importanti in ambito internazionale nella lotta contro l’Alzheimer e molte altre malattie neurodegenerative.