di Francesco Marrapodi

Il punto di domanda è il seguente: esistono davvero due Calabrie? Assolutamente sì! Non due regioni, ma due mondi distinti, all’interno di in una singola regione. Due anime, che si sfiorano quotidianamente senza mai toccarsi; due voci che cantano una stessa canzone ma in tonalità opposte.

La prima è la Calabria della terra: rurale, tenace, intrisa di polvere e di sudore. È quella dei campi solcati e dissodati col cuore, della gente piegata dalla fatica, delle convenzioni dure come la roccia, degli affanni che non finiscono mai. Una Calabria che resiste, più che vivere, con le sue secolari rinunce cucite addosso.
La seconda, più enigmatica, è quella “strutturale”, che, nel senso lato del termine, ha ben poco di strutturale. Perché qui, ciò che resiste davvero è l’opera di una mano più grande, più antica: la mano della natura, o, per meglio dire, di Dio. La Calabria che si estende fra monti ciclopici e mari siderali non è il prodotto di calcoli umani, ma un’intuizione divina. È un tempio a cielo aperto, scolpito nel tempo primordiale, dove ogni scoglio è una parola, ogni vento un sussurro. E allora, ci si chiede: perché non riusciamo a decollare nonostante tutto questo ben di Dio? Forse la risposta sta proprio nelle domande che non osiamo fare.

Siamo rimasti ai margini per una colpa ereditaria, o per qualcosa di più oscuro, più costruito?
Siamo il capro espiatorio di un disegno più ampio, o solo prigionieri del nostro stesso scetticismo?
La nostra tanto vituperata mentalità è davvero d’ostacolo al nostro stesso sviluppo economico sociale, o è solo un comodo alibi?
Quanto pesa la colpa della politica, e quanto quella del popolo che ha smesso di pretendere?
E infine, com’è possibile che tanti figli di questa terra abbiano scritto pagine memorabili della storia altrove e non qui?
Domande, solo domande. Eppure basterebbe il coraggio di ascoltarle, di affrontarle, per accorgersi che la Calabria, con tutti i suoi abissi, è in realtà un cielo rovesciato. Perché al di là del dolore, dell’abbandono e delle ingiustizie, essa resta — senza bisogno di preamboli — una delle regioni più belle e meravigliose d’Italia.