Le urla strazianti di una giovane donna afgana sulla bara della sorella con la quale era partita dall’Afganistan per trovare una vita migliore hanno risuonano nel palazzetto dello sport di Crotone dove ieri è stata aperta la camera ardente per le vittime del naufragio avvenuto domenica a Steccato di Cutro. L’arrivo dei superstiti e dei parenti delle vittime è stato il culmine del dolore. Chi in quel momento era nel palasport non è riuscito a trattenere le lacrime. In alcuni casi sono dovuti intervenire i sanitari per soccorrere alcune persone che avevano ritrovato sulla bara il nome del congiunto. Una parte degli 81 superstiti e i parenti delle vittime -arrivati soprattutto da Germania, Austria e Olanda- hanno poi celebrato una breve funzione religiosa. Guidati dal rappresentante anziano della moschea di Cutro, Mustafa Achik, hanno pregato con grande compostezza davanti alle, per ora, 66 bare allineate sul parquet dell’impianto sportivo. Una cerimonia semplice svolta nel silenzio. Poi ognuno si è avvicinato alla bara, o in alcuni casi alle bare, dei parenti.

Al momento la polizia scientifica è riuscita a dare un nome a 42 vittime. Le identificazioni stanno continuando. Da segnalare, intanto la dichiarazione di monsignor Angelo Raffaele Panzetta, arcivescovo di Crotone-Santa Severina e divulgata dal Sir: “E’ chiaro che c’è una corresponsabilità e una responsabilità sociale in quello che è avvenuto e tutto dovrà essere considerato con attenzione. Però, ci vorrebbe anche, almeno in questo momento, che ci fosse una tregua dalle polemiche e si sperimentasse dentro di sé quella umanissima pietà per le persone che sono morte, per le famiglie straziate dal dolore”, ha dichiarato monsignor Panzetta. Il presule ha ricordato inoltre che “nei salmi si parla di un vento che squarcia le navi: il vento gelido dell’egoismo, il vento gelido della paura, il vento gelido della chiusura, il vento gelido di Paesi nei quali i diritti non sono riconosciuti, il vento gelido di un sistema economico che produce Paesi dai quali bisogna scappare, il vento gelido di corresponsabilità che ci chiama tutti in causa”. “Quindi, questo non sia tanto il momento della polemica, ma della pietà e della preghiera. Verrà un tempo in cui non di pancia ma con la testa e con il cuore occorrerà riflettere accuratamente su quello che è avvenuto e su quello che bisogna fare perché queste cose non accadano più”, ha concluso monsignor Panzetta.

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