Nella metà degli anni ‘50 era diventato famoso per le baruffe cinematografiche di Peppone e don Camillo. Nel 2017 era tornato agli onori della cronaca, ma in questo caso per essere il primo comune emiliano sciolto per mafia.

Parliamo di Brescello, piccolo centro della bassa Reggiana: terra di contadini ed oggi terra anche di ‘ndrangheta. Era lì infatti che abitava Francesco Grande Aracri, presunto boss di una delle cosche più potenti, originaria del crotonese, di Cutro per la precisione, il clan Grande Aracri, appunto.

Ed è lì che stamani la mobile bolognese è andato a prelevarlo, così com’è stato fatto per i suoi figli, Salvatore e Paolo.

Tutti e tre sono ritenuti i vertici dell’articolazione locale della ‘ndrangheta, capace di infiltrarsi nel tessuto locale, anche in quello politico, stante l’arresto, sempre stamani, di Giuseppe Caruso, che è il presidente del Consiglio comunale di Piacenza, 58 anni, esponente di Fratelli d’Italia, grazie al cui ruolo di funzionario delle Dogane avrebbe favorito il clan in una truffa all’Unione europea.

C’è tanta carne al fuoco, dunque, nell’indagine Grimilde, scattata all’alba di oggi su ordine della Dda di Bologna e che ha portato all’arresto di 16 persone tra ParmaReggio Emilia e Piacenza .

Sono tutti ritenuti appartenere proprio alla cosca che opera in Emilia occupandosi di diverse attività criminali, ovviamente, ma anche “imprenditoriali,” espandendosi così in tutta Italia.

Una conversione nel settore economico – magari apparentemente lecito – che però si basava sulla forza intimidatrice conferita dall’appartenenza alla ‘ndrangheta e che traeva forza anche dal disponibilità di importanti quantitativi di armi, non disdegnano, all’occorrenza, la messa in atto di attentati incendiari ai danni di coloro che ne osassero ostacolare il percorso.

I “FAVORI” DEL POLITICO LOCALE

L’operazione ha preso le mosse nel 2015 quando cioè l’attenzione della Squadra Mobile bolognese si è concentrata nei confronti proprio di Giuseppe Caruso che era il responsabile dell’area assistenza e informazioni agli utenti dell’Agenzia delle Dogane di Piacenza.

Secondo gli investigatori avrebbe accettato una promessa di denaro in cambio di comportamenti contrari ai suoi doveri d’ufficio.

Seguendo il reticolo relazionale di Caruso, gli investigatori avrebbero verificato quello che definiscono “uno stretto rapporto” tra questi Salvatore Grande Aracri, come dicevamo figlio di Francesco e nipote del più noto Nicolino.

Attraverso delle incessanti, numerose e continue attività tecniche, durate per circa tre anni, si ritiene di esser riusciti così ad avere la prova dell’esistenza del gruppo criminale che utilizzando metodi tipicamente mafiosi avrebbe effettuato una serie di investimentiaprendo e chiudendo società di comodo e così facendo affari anche con imprenditori di primissimo livello nazionale.

GLI AFFARI “SPORCHI” E LA FORZA INTIMIDATRICE

Tra questi “affari” certamente due – sempre secondo gli inquirenti – dimostrerebbero la capacità imprenditoriale e criminale della struttura.

Nel primo caso, nel giugno del 2017, Salvatore Grande Aracri ed il padre Francesco, tramite una società edile a loro riferibile, avevano avviato un progetto di costruzione di 350 appartamenti a Bruxelles; i due si erano occupati di trovare gli operai che, però, avrebbero dovuto lavorare in condizioni di assoluto sfruttamento”, imponendogli una paga di 8 o 9 euro l’ora per turni di anche di 15 ore giornaliere, a volte senza nemmeno concedergli il riposo settimanale.

Contemporaneamente, poi, il gruppo avrebbe ingannato i referenti di una società, la “Riso Roncaia”, che a sua volta aveva vinto un bando europeo per una fornitura di riso, facendogli credere di poter ottenere una linea di credito di 5 milioni di euro e l’apertura di conti correnti bancari in istituti compiacenti.

LA RAI PRESA A PIETRATE E IL PIZZAIOLO “AVVERTITO”

L’operazione di oggi, che è ancora in corso, avrebbe poi portato a scoprire come i presunti appartenenti all’organizzazione non sempre si sarebbero limitati ad usare metodi ortodossi per condurre le loro attività, ma che quando fossero incappati in qualcuno che potesse essere d’ostacolo, o che “mettesse il naso” nei loro affari, ricorressero tranquillamente alla violenza ed alla intimidazione.

Tipico il caso di un distributore di pizza che avrebbe avuto soltanto l’ardire di “invadere” la zona controllatadal gruppo e che subito ne avrebbe ricevuto un esplicito ed inequivocabile avvertimento dal tono: “qua non hai capito… che ti spariamo”.

Oppure come nel caso di una troupe del Tg2 della Rai: mentre stava girando un servizio nei pressi dell’abitazione di Brescello dei Grande Aracri, il giornalista al seguito subì il lancio di una pietra per mano di Francesco e che colpì il vetro dell’auto della stessa troupe.

LA “PROVINCIA” CHE TRATTAVA CON I “MASSASANTISSIMA”

Nel corso della conferenza per esporre i dettagli del blitz gli inquirenti hanno spiegato come il gruppo avesse costituito una “provincia” di ‘ndrangheta, trattando alla pari anche i cosiddetti mammasantissima di San Luca, dai quali aveva ottenuto il riconoscimento di “crimine” dagli inizi degli anni Duemila.

Gli investigatori sostengono dunque che il capo assoluto della cosca, Nicolino Grande Aracri, avesse un disegno molto ambizioso estendendo il suo controllo in gran parte del nord Italia ma anche, all’estero, in particolare in Germania, così come testimonierebbero delle indagini poi sfociate in altrettanti processi che hanno certificato la presenza della sua organizzazione in Emilia Romagna, ma anche in Lombardia, Veneto, Liguria.

La Direzione nazionale antimafia, difatti, nella sua relazione annuale al Parlamento ha parlato proprio dell’esistenza di un organo sovraordinato – che coinciderebbe con la già riconosciuta “locale” cutrese con a capo la famiglia dei Grande Aracri – rispetto alle tradizionali locali di ‘ndrangheta, e capace di imporre la propria influenza su di una vasta porzione del territorio calabrese e altrove.

L’ASCESA DI NICOLINO GRANDE ARACRI

L’ascesa di Nicolino Grande Aracri parte nei primi anni ‘80 quando si staccò dall’allora capo della cosca cutrese, Antonio Dragone, del quale ne era luogotenentemettendosi in proprio e guidando il clan familiaredel quale fanno parte i suoi fratelli.

Con Dragone ne nascerà così una guerra di mafia, terminata, nel maggio 2004, con l’omicidio del vecchio boss alla periferia di Cutro. Per quell’assassinio, ma anche per altri reati, Nicolino venne condannato all’ergastolo, sentenza confermata in Cassazione nei giorni scorsi.

Nonostante sia dal 2013 al 41 bis, il carcere duro, nel penitenziario milanese di Opera, sempre secondo gli inquirenti Nicolino Grande Aracri continuerebbe ugualmente a gestire i suoi affari da dietro le sbarre.

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