262 minatori morirono, per le ustioni, il fumo e i gas tossici. 136 erano italiani. Causa dell’incidente fu un malinteso sui tempi di avvio degli ascensori. Si disse che all’origine del disastro fu un’incomprensione tra i minatori, che dal fondo del pozzo caricavano sul montacarichi i vagoncini con il carbone, e i manovratori in superficie. Il montacarichi, avviato al momento sbagliato, urtò contro una trave d’acciaio, tranciando un cavo dell’alta tensione, una conduttura dell’olio e un tubo dell’aria compressa.

La storia ha scandito negli anni quei momenti. Erano le 8 e 10 quando le scintille causate dal corto circuito fecero incendiare 800 litri di olio in polvere e le strutture in legno del pozzo. L’incendio si estese alle gallerie superiori, mentre sotto, a 1.035 metri sottoterra, i minatori venivano soffocati dal fumo. Solo sette operai riuscirono a risalire. In totale si salvarono in 12.  4 le vittime calabresi: Antonio Danisi 34 anni, Pasquale Papa 31 anni, Pietro Pologruto e Vincenzo Sicari di anni 29.
Il processo sulla tragedia si apre nel 1959, Antonio Iannetta è il testimone chiave il quale per un malinteso, conseguenza delle poca padronanza della lingua francese, avrebbe provocato l’incendio. Per i giudici di Charleroi è un “errore involontario” e la sentenza di primo grado assolve tutti. Prima dell’incidente e precisamente nel 1946 il governo italiano firma un accordo con Bruxelles che prevedeva uno scambio: per ogni 1000 minatori mandati in Belgio 2500 tonnellate di carbone.
Ai tempi della tragedia, le condizioni di vita dei minatori emigrati erano pessime. Spesso chiamati  “musi neri” o “sporchi maccaroni” venivano dati loro alloggi miseri come baracche utilizzate prima come lager dai nazisti.Fortunatamente oggi la situazione è notevolmente cambiata. I 200 mila italiani, infatti, negli ultimi anni hanno trovato a Bruxelles una realtà riccca di tutele a loro favore, in particolar modo nel mondo del lavoro. Vantiamo un integrazione anche nel campo politico e culturale.

Lr