E come in un sogno, laggiù, al porto di Cirò Marina, per un istante ritornai bambino mentre il peschereccio prendeva il mare leggermente increspato dal vento di Scirocco.  L’afa appiccicaticcia di quel pomeriggio torrido di un’estate già inoltrata, impregnava ancor più il mio corpo già madido di sudore, falsava la visione dell’orizzonte sino a confonderlo con il cielo in un unico abbraccio e il vento causato dal moto della barca, accarezzava il mio volto. E in quella carezza ritrovai mio padre. E fu allora che ritornai bambino sulla dolce spiaggia di Roccella e risentii sul volto le perdute carezze di mio padre in quell’unica uscita a mare insieme a zio Gaetano. Mio zio era un omone, buono, fisicamente l’opposto di mio padre che aveva una figura esile ed il volto scavato da mille sofferenze. Ricordo la barca, le reti, i remi, il calore di quel pomeriggio d’estate con in testa il basco blu del mio papà per ripararmi dal sole. La paura dei pesci che mi ballonzolavano tra i piedi e lo sforzo sproporzionato per un bambino di sette, forse otto anni, di tentar di remare sono tutti ricordi che porterò sempre nel mio cuore. Poi, mio padre l’anno successivo, a soli quarantaquattro anni, se ne andò per sempre e d’allora non ebbi più occasione, e forse manco la voglia, di tornare a mare.

La Francesco Padre, così si chiama la barca su cui siamo a bordo e che, ironia della sorte ha lo stesso nome del mio papà, prosegue la sua rotta verso il largo. Arriveremo a 25 miglia o giù di lì, per me lontananze mai raggiunte con un’imbarcazione così piccola che Antonio conduce verso l’orizzonte, ricordando tanto la figura di mio zio Gaetano che scherzosamente lo chiamo in cirotano ‘’zzu Gatanu’’. Mi ha un po’ sorpreso il carattere giocoso ed imprevedibile di Totonno, qui lo chiamano tutti così, perché mi era sembrato un po’ musone e poco propenso al dialogo nei nostri precedenti incontri. Chiaramente mi sbagliavo. È gioviale, Totonno, scherzoso ed ha riso di me per tutta la notte per via delle mie ansie d’alto mare e finendo col  poi cedermi in maniera amorevole il suo letto e riducendosi a dormire sul legno.

La barca tira dritta al largo, verso la meta prefissata. Ed intanto che alle nostre spalle vanno sparendo anche le più lontane montagne, ognuno occupa il tempo come può: Antonio al timone, Francesco dà una rassettata alla barca, Bruno ripara la rete. Anche lui ha sembianze a me famigliari, viso lungo e triangolare, proprio come mio padre. Ha la faccia ed il corpo arse dal sole che sulla plancia picchia forte, è molto bravo con la ‘’cucedda’’ o ‘’cucejia’’, a seconda del dialetto utilizzato. Svelto nel cucire la rete con maestria perché il tempo è decisamente poco, mi ricorda ancora mio padre quando mi diceva: “piscaturi chi non sarci, pisci pocu pigghjia’’. Starei ore a guardare questo gesto di Bruno spontaneo e naturale ormai che sembra cadenzare l’inesorabile trascorrere del tempo. Lo conosco da più di un anno ed ho avuto modo di passare anche qualche ora con lui, è uno dei parenti con cui ho più legato e mi chiama ‘’cuggì’’, come fanno quasi tutti i Carella di Cirò Marina. Non nascondo che la cosa mi fa piacere, del resto i nostri nonni erano cugini davvero. Bruno è garbato, ha un carattere molto conciliante, tra i migliori incontrati qui, sente molto il richiamo del sangue, anche per questo ho riposto in lui da subito stima e amicizia . Bruno continua il lavoro duro dei nostri nonni così come gran parte della grande famiglia Carella di Cirò Marina che non a caso sono chiamati ‘’rucceddoti’’ ovvero di Roccella, da dove appunto partirono i nonni per stabilirsi qui. Intanto pian piano il sole si spegne nel mare e nella sua agonia ci regala bagliori fantasmagorici e paesaggi ineguagliabili.

Siamo giunti alla distanza stabilita per la battuta di pesca. Occorrerà qualche ora prima che tutta la rete venga gettata (calata in acqua) in mare e lo scirocco, che non ha mai abbandonato la mia prima nottata a mare, spesso mi fa vacillare per via dell’equilibrio precario della barca: non ci sono abituato. Come non bastasse, arriva la ‘’stoccata’’ di Totonno, la più divertente ed efficace per farmi sorridere: “Se stai male inverto la rotta e ti riporto a terra’.’ Non mi scompongo e sorridendo ribatto: ‘’Lo avevo previsto che non l’avresti fatto mai, del resto siamo ad ore da terra’’. Fulminea la sua contro-risposta: “’Allora mettiti l’anima in pace’’.

Lentamente il mare inghiotte le reti che Bruno accompagna con braccia possenti. Calano le reti ed inesorabilmente anche la notte. Qualche ora di stop prima di tirare le reti. Si approfitta per mangiare e riposare. E mentre io non tocco cibo per non rischiare problemi di stomaco, i cari cugini mangiano a sazietà, incuranti del fatto  che la barca con il motore spento sia sempre più in balia del vento. Eppure, anche se per loro è una culla naturale e per me un altro calvario, riesco ugualmente a prender sonno.

Tocca  a Francesco farmi da sveglia e non tarderà ad arrivare. Aspettavo da mesi questo momento, finalmente ci siamo. Francesco, figlio di Bruno, che sarà probabilmente il continuatore di questo lavoro per il suo ramo familiare, è un ragazzo sposato da poco, gioviale come il padre e lo zio, e simpaticamente loquace, ha conversato con me tutta la notte preoccupandosi di accogliermi al meglio nella sua barca. Ed avendo ereditato dal padre anche il legame sanguineo, mi bombarda di domande che ne denotano una sorprendete sete di sapere tutto sugli avi.

E’ il momento di tirare su le reti ed è un lavoro di squadra fantastico, eseguito da tre persone che si capiscono al volo e come un’intera orchestra, danno dimostrazione della loro bravura con una sincronia sorprendente. E dalla notte, quasi furtiva, avanza l’alba, prima indistinta poi sempre più chiara, a imporporare mare, barca e uomini e torna dopo l’oscura notte, l’arcana magia del creato. Come ad un misterioso ed invisibile cenno del Creatore, il vento si placa, quasi pauroso di distruggere un dipinto di tale bellezza ed il mare sembra respirare con onde sempre più leggere quel dipinto di rara bellezza.

Francesco e Bruno si alternano alla raccolta delle reti. Uno sforzo immane che dura  ore e non sempre il pescato è proporzionato al duro lavoro. Sarà una giornata un po’ magra da questo punto di vista e quasi mi sento in colpa per non aver portato loro la giusta fortuna. Il sole è sorto da un pezzo quando prendiamo la via del ritorno e ora tocca riposare a Totonno che, non appena mette testa sul cuscino si addormenta stremato cosi come fa Bruno. La barca affidata a Francesco dopo un paio d’ore rientra in porto.

Una sola notte in mare insieme, ed è come se fosse passata un’intera vita. Penso allora all’arrivo dei “Rucceddoti” qui a Cirò Marina, all’inizio del secolo scorso, alle motivazioni che hanno spinto tre fratelli a prendere barca e famiglie ed andar via per mare verso nuove fortune. Non trovo un perché e francamente poco mi importa, quel che più’ conta è essersi ritrovati o meglio trovati. A volte sentivo che mi mancava qualcosa, come se ci fosse un vuoto nella mia vita che non riuscivo a colmare, e perciò mi son messo alla ricerca dei miei cugini e finalmente li ho trovati con grande gioia mia e loro. Appena li ho visti ho capito che quel vuoto mi faceva triste compagnia da tempo, l’avevo finalmente colmato … Ed eccomi qui con loro e come i nostri avi su una barca dopo una battuta di pesca.

Ormeggiata la barca, scendo ancora con la sensazione di barcollare, ad accoglierci il solito drappello di curiosi che da sempre all’arrivo delle barche si raduna. Bruno e Antonio contrattano il prezzo del pescato e io faccio appena in tempo a salutare e ritrovo ad aspettarmi un altro Bruno Carella, altro “cuggi” ed altra persona speciale in attesa, come gli avi, di prendere ancora il mare.

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