Suor Carolina passa le sue giornate a Bosco Sant’Ippolito nel comune di Bovalino (Reggio Calabria). Potremmo definirla una missionaria: il suo centro giovanile “Padre Pino Puglisi” dista pochi metri dalle residenze della famiglia Pelle – Vottari, uno dei clan più potenti della ‘ndrangheta. Eppure lei cerca di combatterla, la criminalità, con la semplicità dell’accoglienza. «In certe zone la mafia, la ‘ndrangheta o la camorra non ha bisogno di manifestarsi, la percepisci nell’aria», ci dice. Eppure lei prova a distogliere i giovani da queste logiche mafiose. Cerchiamo di fare un cammino di legalità e per farlo chiamiamo le cose con nome, senza nasconderci. I primi tempi che siamo arrivati il termine ‘ndrangheta era impronunciabile. Eppure le dico una cosa: ad agire sulle coscienze della gente perbene non è la ‘ndrangheta. E cosa? Quello che incide è la cultura mafiosa, un killer silenzioso e subdolo. C’è – purtroppo – una marginalità di illegalità anche in chi non è affiliato. Da dove deriva? C’è un sentire comune: «Se io “frego” le Istituzioni che male c’è?» In fondo da queste parti il primo latitante è proprio lo Stato. Perché afferma questo? Quando non si assicurano i servizi, allora è una latitanza di Stato. Anche in questo caso mi viene in sostegno Padre Puglisi: «Non dobbiamo chiedere per favore quello che ci è dovuto come diritto», diceva. Nella Locride, è amaro constatarlo, il diritto, spesso, non esiste.

Fonte: Federico Minniti

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Il resto dell’intervista nel numero in edicola con L’Avvenire di Calabria di giorno 11-06-2017 .